Da un lato ci sono le ricerche e i documenti che spiegano come le donne dello Stato islamico siano mogli, madri, sottomesse agli uomini. Dall’altro ascoltiamo atterriti le testimonianze che arrivano dai territori del Califfato e che dipingono le donne come carnefici, pronte a torturare altre donne, siano yazide, o cooperanti occidentali rapite come Kayla Mueller, o semplici vicine di casa che non indossano un velo abbastanza spesso.

In mezzo a questo quadro, complesso e di incerta comprensione data la scarsità di fonti, si colloca la propaganda di Isis che a colpi di tweet e video tenta di far passare il messaggio che «in Siria e in Iraq si vive bene, che solo nel Califfato le donne e gli uomini possono essere buoni musulmane e che migrare nello Stato islamico è un dovere».

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