Sinceramente, faccio molta fatica a interpretare il pugno papale, cui oggi si aggiunge un calcio nelle terga, come un avvicinamento alla lingua e ai modi di pensare del cosiddetto popolo. Per un motivo molto semplice: il cosiddetto popolo, di cui tutti facciamo parte, vive da un paio di decenni nell’equivoco che scambia spontaneità ed emotività della parola pubblica (ripeto, pubblica, sia essa scritta su un social, su un quotidiano, profferita durante un’intervista, pronunciata a un convegno) con la violenza verbale. “Credo poco alle virtù del parlare francamente: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla pigrizia mentale, alla fiacchezza delle espressioni banali”.

Leggi tutto