A Milano, il 9 novembre, si è tenuto un incontro indetto da 3 donne, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., che il 28 settembre 2013 hanno denunciato di essere state oggetto di un'aggressione sessista, fisica e verbale, da parte di alcuni esponenti del loro stesso movimento (quello dell'aurtonomia diffusa) - come loro stesse raccontano diffusamente qui. Spiegando fra l'altro: "abbiamo deciso di esporci pubblicamente per trasformare questo vergognoso episodio in un'occasione di riflessione condivisa, all'interno dei movimenti antagonisti, sui problemi di sessismo e fascismo nell'autonomia". 
E' stato un incontro davvero interessante, e anche l'occasione che ha consentito di raccogliere una testimonianza storica: è intervenuta infatti anche Lidia Menapace, illustre politica e nota ex-partigiana, che ha parlato senza peli sulla lingua dei portati di sessismo e violenza anche negli ambienti storici della sinistra, mettendo in luce episodi sconosciuti ai più della vita di figure del calibro di Togliatti, Nilde Iotti, Teresa Mattei. Ascoltiamola:
Insomma: la sinistra è tradizionalmente "al fianco delle donne" - e ideologicamente non può ammettere la sopraffazione maschilista, le mancanze di rispetto verso le donne, la violenza sessista...
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Vero - vero anche che tra il dire e il fare ci sono i retaggi, che ci condizionano tutti/e nel profondo, tenaci soprattutto negli uomini. 
Ma una donna che era presente all'incontro, e che, sempre a Milano, frequenta i "movimenti antagonisti", fa notare come, là dove l'identificazione politica prevale su quella di genere, anche in molte donne l'azione di questi retaggi porti a forme di reticenze (e giustificazioni dei loro compagni), che fanno sentire sole le donne colpite. Traccia inoltre una riflessione guardando al futuro. Ecco il suo contributo:
Il silenzio
Ha lunghissima storia il silenzio delle donne sugli episodi di violenza. 
Sabato [9 novembre 2013, ndr] ho potuto nuovamente verificare che la parola di una donna che accusa un uomo di violenza, da sempre, nella nostra cultura patriarcale è bollata come menzogna, oppure, se violenza c'è stata, la donna è complice. (Era ubriaca, consenziente, provocatoria, etc etc).
Per me tacere equivale a cedere a questa logica, invece che combatterla. Questa giornata, con le sue contraddizioni, è un tassello nello scardinare questo dispositivo di controllo delle donne. 
La donna come vittima
C'è una grande differenza tra l'essere vittime e fare le vittime. E' necessario impedire alle donne di relegarsi o essere relegate nel ruolo di vittima. La testimonianza pubblica di un fatto violento rende giustizia a chi l'ha subito, ricordando che ciò che è successo non è un avvenimento normale o trascurabile in alcun modo. La presa di parola pubblica dovrebbe contenere in sè anche la decisione di sfidare i media sul loro terreno, invitandoli a tracciare i contorni della vicenda nel rispetto dell'integrità delle persone e non nella mistificazione dei ruoli vittima/carnefice.
Spesso una donna che reagisce con forza a una violenza viene stigmatizzata. Non si apprezza la sua forza, ma si sminuisce la violenza che ha subito. 
Dispositivi di esclusione
Il movimento esclude chi lo contesta? Sabato ho notato come le più critiche verso Giulia, Silvia e Marica fossero proprio le donne. Perché? Sembra inevitabile che la necessità di riconoscersi in un'identità collettiva, funzioni, per il nostro sesso, più sul piano della classe che del genere
Violenza e conflitto
Non sono la stessa cosa. Anzi, rimanere in conflitto nel rispetto dell'altro è antidoto alla violenza. Un comunicato provocatorio è conflittuale, non violento. Uno schiaffo invece è violento. Purtroppo sabato non c'è stato tempo di discutere della confusione che spesso si fa tra questi due termini. Ma è nel conflitto che si creano le condizioni di crescita, tramite l'affinamento delle proprie risorse tese a difendere le proprie posizioni. 
Questo a patto che non si scada nella violenza. Dopo quella fisica, la prima violenza è il non riconoscimento dell'altro come interlocutore. 
Questo comportamento ha delle analogie con il silent treatment, considerato, in psicologia, abuso psicologico grave.
Sabato, in ogni caso, nei fatti, le persone erano lì, al freddo, a parlare, al di là delle dichiarazioni.
Violenza o violenza sessista?
Secondo il mio punto di vista, la violenza non ha genere. Ciò non toglie che se mentre meno qualcuno lo insulto perchè ebreo, negro, comunista, gay o femmina, sto commettendo un atto di violenza e razzismo, violenza e sessismo.
Come andare avanti?
Essere escluse, attaccate e sminuite fa male, ancora di più dopo aver subito una violenza. Il senso di giustizia che ne nasce può essere dirompente. E' necessario però fare uno sforzo consapevole per esercitare una rabbia sana, direi pura. Questa occasione data a Milano, qualcuna l'ha riconosciuta, qualcuna no, quel che conta è che si continui a confrontarsi, affermando anche che una collera sana esiste, sono i nostri anticorpi all'ingiustizia, ma coltivando la capacità di creare dialogo anche là dove sembra impossibile.
Sara

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