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Traduzione di Maria Rossi
Le persone prostituite sono in grado di farsi rapidamente un'opinione sui prostitutori che le pagano per avere il diritto di dominarle. Nella loro inchiesta sui clienti della prostituzione, Claudine Legardinier e Saïd Bouamama hanno raccolto le opinioni delle donne e degli uomini prostituiti sui clienti prostitutori. Ecco un brano del loro libro: Les clients de la prostitution - l'enquête. (2006)
Il tempo della disillusione
Certo, per un determinato periodo di tempo,  l'idea di non avere un orario fisso di lavoro e di rifiutare gli obblighi "borghesi" può far provare un senso di libertà. Un senso che si dissolve rapidamente, è vero, di fronte alla disillusione. "Volevo solo divertirmi" spiega Suzanne. "Me ne infischiavo di tutto. Le fatture, le leggi, avevo l'impressione di essermene liberata. Mi drogavo, fumavo. Bevevo whisky per darmi la forza di affrontare la prostituzione." Oggi Suzanne percepisce questa sensazione  come quella di una libertà che le ha "distrutto" la vita. Analogamente, alcune delle persone che abbiamo incontrato affermano di aver provato, almeno nell'ebbrezza dei primi tempi della prostituzione, un senso di potere. Leïla, tossicomane, spiega: "Per me era rassicurante sapere che gli uomini erano pronti a pagarmi". Mylène, prostituta di lusso in Germania, racconta di come ha avuto la percezione di "essere pagata troppo", tanto poco si stimava.
Le nostre interlocutrici e i nostri interlocutori che, di fronte alla durezza della vita quotidiana, mostrano forza e risorse stupefacenti, descrivono freddamente gli uomini che le/li pagano. A sentir loro, ce ne sono di tutti i tipi. "Ragazzi giovani e belli che hanno tutto quel che occorre per piacere, porci che lasciano le ragazze in lacrime, tizi che puzzano di sudore, uomini gentili, tizi odiosi che buttano i soldi per terra per costringervi a raccoglierli, tipi patetici che vivono una condizione di grande miseria umana, uomini che, per avervi pagato, avanzano mille pretese, perversi che chiedono di essere picchiati o frustati, tizi pronti a pagarvi una fortuna per  trasformarvi nella loro schiava, uomini infelici che vorrebbero essere amati dalla prostituta, altri per cui le donne non esistono, non hanno bisogni e sentimenti. Un enorme numero di uomini  cui piacciono le ragazzine. Ragazzi che pensano di avere il diritto di fare quello che vogliono perché vi hanno pagato. Maniaci, ma non troppi. Mariti che si tolgono la fede e la rimettono dopo il rapporto. Malati che vi dicono: «Potresti essere mia figlia». Violenti che tentano di strangolarvi con una cintura".
Ciascuna e ciascuno parla, a modo suo, spesso con molta emozione, di un'esperienza che l'ha profondamente segnata/o. Così Mylène, che dichiara di aver lucidamente scelto di prostituirsi, analizza a distanza di tempo quelle che ritiene essere le vere ragioni di questa scelta: la depressione, il disprezzo per se stessa, i maltrattamenti subiti in famiglia, i debiti del compagno, ma anche l'ignoranza della realtà della prostituzione. Qual era la sua idea di prostituzione? Belle de jour con Catherine Deneuve. "Se avessi saputo che cosa mi aspettava, non mi sarei prostituita". Mylène che oggi può raccontare il suo trauma per sette ore di fila senza mai riprendere fiato e  può pronunciare parole terribili: "Per poter dimenticare, dovrei avere l'Alzheimer" - era libera, non era costretta da nessuno a prostituirsi. Libera di abbandonare il suo impiego per  tuffarsi in una realtà che produce rassegnazione e impossibilità di parlarne. Libera di assumere il suo ruolo: "Non me ne importava nulla di nulla. Mi disprezzavo profondamente. D'altra parte praticavo paracadutismo, io che  ho le vertigini  a salire su una scala".
Uscire da se stesse. Il luogo dell'oblio  
L'apatia, l'obbligo di "non pensare" sono dei leitmotiv nel racconto delle persone che riflettono sulla propria esperienza di prostituzione. "E' un'esperienza comune, si entra in uno stato di torpore". Nicole Castioni confidava il suo stupore di aver accettato di vivere questa vita "senza porsi alcuna domanda" e con "un'incredibile facilità di adattamento", ma confessando: "Non ho mai sopportato questa domanda: "Quanto vuoi?" "Come ho potuto accettare tutto questo? " è una domanda tormentosa. Monika, prostituta in un bar dove si praticano rapporti mercenari, confida: "Avevo preso il ritmo. Ero un automa. Con l'alcool, riuscivo a far tutto".
La narcosi, lo stato di torpore descritte frequentemente sono l'altra faccia della medaglia, reale, di ciò che i clienti scambiano per "il piacere di prostituirsi". Le persone prostituite sarebbero, secondo un certo numero di loro, necessariamente conquistate dalle manifestazioni della loro virilità. Questo patetico desiderio si scontra con una realtà brutale. Suzanne ricorda il primo  rapporto con un cliente, un evento spesso vissuto come un vero e proprio stupro, che apre la via alla successiva apatia: "Dopo il primo rapporto, mi sono fatta una doccia. Un'ora; sono rimasta un'ora intera a ripulirmi. Piangevo. La mia amica mi aveva detto: "Vedrai, è il primo rapporto che è difficile". Inès, rimandata a 16 anni e che non sopporta di vedere la madre, divorziata e costretta a prendersi cura da sola di 5 figli, sgobbare in fabbrica, serra i denti prima di un rapporto. "Con il primo cliente sono scesa dall'auto a tutta velocità. Impossibile. Le altre ragazze mi hanno detto di bere: mi avrebbe aiutato. Era vero. Per poter avere un rapporto, era necessario che bevessi 4 o 5 Martini". Inès passa molto velocemente alla droga per riuscire a sopportare  la prostituzione. Difficile vivere i rapporti sessuali lucidamente. Mylène racconta a quali condizioni ha potuto affrontare i rapporti con i clienti. "Non avrei potuto senza Valium". Linda, fatta prostituire molto giovane da un fidanzato magnaccia, confessa: "Con la colla si fanno dei viaggi mentali. Con i clienti, è come essere addormentate". Barbara, abusata sessualmente dallo zio a 16 anni, poi allontanatasi da casa, "affittata per le serate importanti" racconta che assumeva "ansiolitici e sonniferi con un goccio d'alcool per "lavorare" assoggettata a un magnaccia" I clienti? "Non li vedevo nemmeno". Con voce monocorde, descrive la prostituzione  come una vita senza emozioni: "Alzarsi di sera, rientrare la mattina, dormire". Stessa cosa per Inès: " E' come se non l'avessi vissuta, come se l'avessi vista in un film".
Altre persone prostituite sono alle prese con un evidente malessere che tentano in permanenza di soffocare. "Non ho mai potuto abituarmi alle fantasie degli uomini" dice Sophie. Muriel sta male quando ricorda questi momenti dolorosi: "Mi ricordo che quando si avvicinava il momento di avere rapporti con i clienti, mi veniva mal di pancia o mal di testa". Alicia, "massaggiatrice" in un appartamento, lotta quotidianamente: "Mi metto i capelli davanti agli occhi quando sono con i clienti, non li guardo, mi chiudo in me stessa. Mi sento male, mi sento sporca, ho la sensazione di essere una "puttana". Non sono soltanto i rapporti sessuali con i clienti ad essere percepiti come  aggressioni. Ci sono anche le parole. Alicia sbotta quando sente quello che alcuni si permettono di dirle al telefono: " E' dura sentire tutto ciò che certi tizi chiedono: pissing, sadismo. Sono stupefatta". Alicia farebbe di tutto per eseguire veri massaggi, per liberarsi da questo peso. "Odio gli uomini". "Sporca" è un termine che ricorre frequentemente nei racconti. "Non toccavo mai i miei figli prima di essermi lavata", dice Anaïs, prostituta di pomeriggio negli hotel economici.
Il contrasto tra i discorsi dei clienti e quelli che noi sentiamo ogni giorno dalle persone prostituite è enorme: l'alcool, sostanza riservata alle feste dai primi, rende le seconde "dipendenti" soprattutto nei bar dove sembra diffuso l'uso di farmaci ad hoc.  I clienti apprezzano l'ambiente e l'atmosfera  soffusa dei bar, le persone prostituite li gradiscono per motivi meno erotici. Così Paule, prostituta che esercita a casa, crea  nella sua abitazione l'atmosfera soffusa dei bar, ma "solo per non vedere i clienti, per non incrociare il loro sguardo". Analogamente, là dove i clienti amano vedere delle "professioniste" sessualmente libere e senza tabù, si trovano persone  che hanno in primo luogo la preoccupazione di proteggersi il più possibile, di limitare o di evitare per quanto possibile i contatti fisici che sono costrette ad avere con loro. "Certi pensano che siamo animali da sesso. In realtà gli uomini non li toccavo nemmeno" - dice Paule. "L'odore, la pelle, rimuovevo tutto per vedere soltanto i soldi. Ponevo delle barriere tra me e loro per non vedere, per non sentire i loro denti, la loro traspirazione, il loro alito. Posavo soltanto la punta delle dita sulle loro spalle". Monika esprime la stessa idea con parole toccanti: "Per loro, la donna che si prostituisce è una bomba del sesso, una con molta esperienza; è il loro immaginario. Credono di poter fare quel che vedono nei film porno. Non si rendono conto che siamo esseri umani; che siamo donne come le altre, come quelle che hanno a casa".
I clienti parlano di fantasie, le prostitute di paura, dell'obbligo di stare costantemente all'erta. Il piacere? "Li disprezzavo  in modo incredibile. Il piacere non era fisico. Il piacere consisteva nello scucire loro  la massima quantità di denaro possibile". Brigitte, prostituta di strada, confida: "La paura c'è sempre. Quando salite in macchina, quando vi trovate prigioniere delle fantasie dei clienti. Vi sono anche dei  pazzi; per due volte sono dovuta scendere velocemente da un'auto in marcia". Alcune indagini mostrano come la maggioranza degli atti violenti subiti dalle persone prostituite siano perpetrati dai clienti. Questo fatto è confermato dalle persone che abbiamo intervistato. Nadine, cacciata da casa dalla madre a 18 anni e ora prostituta che si serve di Internet, ha incorporato la paura nella sua vita quotidiana. Per mantenere la distanza dai clienti, ha finito per optare per la "dominazione soft": frustini, umiliazioni, insulti. Racconta come il numero di chiamate dei clienti sia subito raddoppiato: " Vi sono uomini strani". Spiega come  sia fuggita a gambe levate, quando le ha aperto la porta un uomo vestito di nero armato di una mazza da baseball. Dice di aver voglia di "rassicurare" i clienti, di aver voglia di "aiutarli" perché hanno "problemi psicologici che si trascinano dall'infanzia, problemi di mancanza di affetto". Poi parla di soffocamento, di accessi d'odio, di voglia di essere violenta. Presa dal desiderio fortissimo di chiudere con questa storia, si dichiara "smarrita", in cerca d'amore, in cerca di un padre che le è sempre mancato, stanca di "mettersi in situazioni pericolose per far piacere agli altri".
La prostituzione  prevede l'attivazione di molte strategie volte a creare una distanza con i clienti. L'ideale e il vertice della gerarchia prostituzionale è  rappresentato dal fatto di non essere toccate, come accade nelle pratiche sadomasochiste. "Per sopportare si chiudono gli occhi. Mettevo il  mio braccio profumato davanti al viso. Questo permette di proteggere una parte di sé, una parte che i clienti non avranno", ricorda Mylène. Anestetizzarsi, sdoppiarsi, dissociarsi sembrano essere operazioni strettamente connesse alla pratica prostitutiva. "Si esce da se stesse, si contano le pecore. Se non ci si protegge in questo modo, si può diventare folli". "Stranamente non ero io a prostituirmi - dice Leïla- Ho cominciato ad avere veramente l'impressione di essere due persone". Naïma, prostituta per due anni in un bar, vittima di stupri e violenze da parte del padrone, descrive uno strano processo: "Quando arrivavo al bar, spegnevo la mente; un po' come se quella che era nel bar non fossi io, ma un'altra persona; così facevo molte cose che non avrei mai ammesso di fare fuori dal bar".  Naïma, che confessa di avere "problemi ad entrare in contatto con se stessa" quando non si sente sicura, racconta in dettaglio questa operazione di sdoppiamento rafforzata dall'assunzione di un altro nome e dal fatto di indossare abiti diversi rispetto a quelli che indossa quando non si prostituisce. "Si tratta di una forma di protezione nei confronti dei clienti, di una garanzia di anonimato". Vivere sdoppiata  conduce a una forma di schizofrenia difficile a volte da superare. "Ho finito per credere più all'esistenza di Tara, il mio nome da prostituta,  che a quella di Leïla. Conosco bene Tara. Come Leïla, invece, non so chi io sia e ho paura..."
Simulazione, dissimulazione
I clienti pensano che alle prostitute piaccia esserlo, mentre queste ultime riferiscono della loro totale incomprensione del comportamento dei clienti. "Ma come possono pagare per questo?" esclama Alicia. "All'inizio si cerca di capire; poi si lascia perdere" confessa Naïma "E' dura confrontarsi con la realtà dell'uomo. Per me i clienti sono violenti. Ci sono quelli che commettono violenze fisiche - io pago, tu taci e obbedisci - ma anche gli altri sono violenti psicologicamente, con i loro mezzi di pressione". Naïma parla di una clientela di managers, dirigenti di impresa, medici, operai, il cui comportamento lei interpreta come "il piacere di pagare" "il possesso della donna" "l'esercizio del potere sul più debole". Quando ripensa senza alcun piacere a questi due anni, ha la sensazione che "i clienti preferiscano le ragazze più disperate" perché "questo li eccita di più". "Essi amano la sfida".
Certo, le prostitute affermano anche di incontrare clienti che soffrono di solitudine e che sono alla ricerca di una relazione. Ma lo dicono con indifferenza. Cliente frustrato, cliente timido? "Non credo - dice Christine . - Per il cliente, il piacere è quello del possesso, della sottomissione, della vendetta. C'è anche il piacere di sfogare la collera, l'impotenza, sottomettendo una donna". L'eventuale desiderio di relazione dei clienti è, per il fatto stesso di erogare denaro, destinato alla sconfitta. Le persone prostituite, soprattutto le donne, esprimono soprattutto diffidenza o rifiuto, rifiuto del dialogo, ferma volontà di mantenere le distanze dagli uomini che le pagano. Soprattutto volontà di non dire nulla di sé, di non lasciarsi sfuggire nulla. Simulare e dissimularsi. Simulare al punto da far credere a certi clienti di provare piacere. Una convinzione che molte di loro valutano con una sola parola: "Grave!" Dissimularsi. Paule esprime chiaramente il suo bisogno di fuggire davanti alla richiesta di certi clienti di intrecciare una relazione: "Ero colta dal panico quando qualcuno prendeva tempo e sembrava voler mescolare il sesso con i sentimenti. Sono rimasti tutti clienti. Niente di più. Non avrei mai potuto avere una relazione sentimentale con un uomo che mi aveva in precedenza pagato. Avrei pensato che potesse pagarne altre". Per lei la prostituzione è falsità. "Quegli uomini mentivano. E anch'io mentivo. Sorridevo sempre. Mai avrei loro confidato i miei problemi. La prostituzione è un mercato di falsari". "Ai clienti - dice Monika - ho detto le cose che volevano sentire. Menzogne". Brigitte ricorda freddamente gli uomini che hanno bisogno di parlare: "Non li si può aiutare. L'idea secondo la quale le prostitute sarebbero terapeute del sesso è assolutamente falsa. Se li ascoltavo, era solo perché in tal modo avrei trascorso meno tempo a far sesso". Brigitte, assunta in un club di scambisti dove l'ha trascinata il marito, descrive il suo progressivo inabissamento nella prostituzione, ma anche la sua capacità di resistere. "La maggior parte dei clienti mi dava del tu. Io gli davo sempre del Lei. Per mantenere le distanze". Aggiunge, parlando dei clienti: "Molti mi chiedevano perché lo facessi. Generalmente rispondevo che lo facevo liberamente, in modo autodeterminato. Così troncavo il discorso. I clienti non devono saper niente della nostra vita". 
Magnaccia: dalla violenza alla manipolazione
Come si può  affermare che piaccia qualcosa da cui si mantengono saggiamente le distanze? E cosa significa aver scelto? Se Mylène è caduta nella prostituzione, è a causa dell'urgenza di rimborsare i debiti di gioco contratti da suo marito. La pressione dei conviventi, la manipolazione dei prosseneti, categoria che è elegante ritenere che sia in via di estinzione fatta eccezione per i bruti e rozzi individui che sarebbero presenti solo in Albania o in Ucraina, costituiscono una dimensione banale del paesaggio della prostituzione. Se in Francia i vecchi pezzi grossi sono scomparsi, rimane però un gran numero di "magnaccia di prossimità", che le dirette interessate, spesso le donne che hanno un rapporto sentimentale con loro, non sono in grado di identificare e di rifiutare, allo stesso modo delle vittime delle violenze coniugali. Spesso uomini, ma anche donne, diventate maestre nell'arte di giocare con sentimenti quali il bisogno di affetto, di riconoscimento e di valorizzazione. Il  continuo ricambio di donne prostituite sembra assicurato dal fatto che procacciatori molto giovani setacciano i locali notturni o i centri commerciali per trovare  le eventuali prede. Certi prosseneti sono in grado di esercitare una fortissima influenza. "E' nella mia testa, è dentro di me", dice Laldja parlando del marito magnaccia che l'ha indotta ad entrare in un bar dove si esercita la prostituzione a sua insaputa, avvalendosi di due minacce: inviare delle foto compromettenti alla sua famiglia in Tunisia, privarla della possibilità di vedere la figlia di cui lui ha l'affido. "A 20 anni ero manipolata come l'adepta di una setta", dice a sua volta Nicole Castioni. 
I gesti "affettuosi", la generosità (temporanea), la sapiente banalizzazione della prostituzione, l'introduzione in un ambiente presentato come "glamour" sono le efficaci armi impiegate dagli zelanti compagni. Quando non viene usata la violenza fisica: Brigitte, schiacciata da un debito di 700.000 franchi per  essersi fatta garante del marito per l'acquisto di un bar,  stanca, molestata e picchiata, finirà per prostituirsi. Violenze coniugali e prostituzione sono d'altronde strettamente connesse in molti racconti autobiografici. La "massaggiatrice" Anaïs è apparentemente la tipica donna giovane, libera, seducente e colta che fa sognare i clienti. I retroscena? Abbandonata dalla madre, sballottata in 17 successive famiglie, manipolata da un marito disoccupato e violento che le vanta i meriti della sua ex, naturalmente "massaggiatrice ": "Mi ha instillato il timore che mi avrebbero tolto il figlio, per cui mi sono prostituita". Manipolazione, molestie: l'arte raffinata di un prosseneta che sa perfettamente che nulla sarà più insopportabile alla sua compagna dell'idea che il figlio soffra quel che lei stessa ha sofferto; che sfrutta la mancanza di autostima di Anaïs,  il dolore di essere stata abbandonata da piccola. "Mi metteva in una situazione tale da indurmi a pensare di avere assolutamente bisogno di lui. Quando in realtà ero io  a pagare tutto. Ero io che mantenevo la famiglia. Davo un sacco di soldi a questo porco. Lui se li è tenuti tutti. Se potessi, lo ammazzerei. Lo odio. La cosa peggiore non è la violenza fisica: i lividi passano. La cosa peggiore è la violenza psicologica, le molestie".
Che cosa sanno i clienti delle vere ragioni che inducono a prostituirsi questa giovane francese che a volte rientra a casa in lacrime? La sua libertà? Sì, esiste. Anaïs "conta su di sé". "Dopo tutto, - dice - ne ho passate di cotte e di crude, perciò vado avanti". Che cosa pensano i clienti di una giovane donna che in loro presenza mostra un'incredibile loquacità? Che le piaccia prostituirsi? In realtà, questo comportamento le serve a scongiurare la paura: "Mi mostro talmente sicura di me da riuscire a cacciare quelli che non mi piacciono. In effetti, essi sono convinti che io abbia un protettore".
Un'esperienza devastante
Il malessere, il male di vivere che rappresentano la sorte delle moltissime persone che hanno vissuto o vivono ancora la prostituzione sono rimossi, ignorati, a beneficio di un discorso che si vende meglio, più mediatico e, soprattutto, più adatto al liberismo. "Le violenze fisiche non sono nulla rispetto a un dolore interiore che vi dilania, vi impedisce di respirare" - dice Leïla. "Quello che facciamo, ci divora interiormente, allo stesso modo di una malattia. Ci divora interamente: fisicamente, moralmente, psicologicamente. Ci sprofonda nella depressione", dichiarava Alexandre, prostituta di 26 anni in una trasmissione televisiva. Monika, casalinga a 14 anni e che, all'età di 20 anni, ha subito rapporti con 20-30 clienti al giorno in un bar in cui si pratica la prostituzione, descrive un vero incubo: "Come si sopporta questa cosa? Non la si sopporta: la si vive, si fa il vuoto dentro di sé. Non si può piangere. Se si provano emozioni, diventa intollerabile. Quindi non si sente più niente. I clienti sono sovrani: hanno pagato, vogliono palparvi. Non si ha diritto di rifiutare un cliente. E ce ne sono di violenti." Mylène, aprendo la porta del bagno, mostra una sfilza di detergenti: prodotti che, dieci anni dopo il suo passaggio attraverso la prostituzione in Germania, "di lusso" e regolamentata, continua ad usare per lavarsi. "La cosa più pesante è di essere stata comprata: io pago e tu non sei niente. Mi servo di te come di un vaso da notte, per svuotarmi".
Le parole usate sono dure. Rémi, che dopo un'infanzia di tenerezza ha conosciuto soltanto la violenza della famiglia, descrive la crudezza quotidiana dell'ambiente in cui si prostituisce, il modo in cui gli uomini che incontra lo usano per poi buttarlo via. "All'inizio, nessun problema. Si è come pezzi di carne su uno scaffale. Finché è fresca, si vende bene". Paul, transessuale, è rassegnato: "Quando si è transessuali, si viene continuamente presi in giro". Parla con brio della clientela danarosa: "borghesi col sigaro", "persone che si divertono", " il marito che non ha mai avuto avventure con gli uomini e viene da me per provare", omofobi. "I più schifosi non siamo noi" - dice Paul che si guarda in modo spietato. "I più schifosi sono i burattini seduti in macchina". Paul ricorda quando arrivava sul marciapiede con una sbarra di ferro per difendersi. Quando ha smesso di battere il marciapiede, pesava soltanto 56 chili. 
Per alcune come Monika che non andrà mai a raccontarlo in Tv, i mesi di prostituzione sono stati l'esperienza dell'annientamento. "Non nutro più alcuna fiducia in me stessa. Sono stata distrutta. Sono stata stuprata. Ho perso la mia identità. Quanti anni ho? Chi sono io? Come mi chiamo? Assumo antidepressivi. Mi sembra di  non essere in grado di far altro che di provocare gli uomini". Come Naïma, si preoccupa "per tutte quelle ragazzine che non sono accorte e che i fidanzati possono indurre a prostituirsi". Vorrebbe parlare, anche urlare, raccontare la sua storia, evitare ad altre ed altri di vivere, per ignoranza o incoscienza, quel che lei ha vissuto. Muriel subisce il divieto di parlare: "Mantengo il silenzio su ciò che ho vissuto. Se ne parlassi, sarei presa in giro come ex prostituta. Le persone non mi considererebbero più un essere umano, non sarei più in grado di far nulla. Non posso svelare il mio passato, anche se a volte la testa mi esplode". Tutte o quasi tutte provano una sorta di impedimento a parlare. Il rischio dell'onta, dello stigma, il rifiuto della società di capire.
Obbligo del silenzio, difficoltà di uscirne, senza una mano tesa, senza un legame con l'esterno. "Si vive in un mondo a parte, si mette una pietra sopra  ciò che c'è fuori. In effetti, è come vivere in una setta", riassume Christine, alludendo alla difficoltà di uscire dall'ambiente per rimettere piede nella società. La prostituzione costituisce infatti una delle forme più compiute di reclusione: reclusione a causa dello stigma, della perdita di autostima, dell'isolamento crescente, dei debiti contratti, della percezione che la società "normale" sia terrificante e ipocrita, della paura di essere smascherate dai vecchi clienti. Abbandonare la quotidianità della prostituzione, per quanto dura  essa sia, significa affrontare l'angoscia dell'ignoto, il vuoto, il giudizio degli altri; significa lacerare il tessuto della propria biografia, i legami intrecciati nell'ambiente, dimenticare i bei momenti. E' la stessa cosa che accade alle vittime della violenza coniugale. Molte restano nell'ambiente non perché a loro piaccia prostituirsi, ma perché la società le abbandona alla marginalità e all'onta, rifiutandosi di offrire loro delle alternative.
Alcuni ed alcune, fortunatamente, spesso grazie ad un'attività di accompagnamento lunga e paziente, riescono a sfuggire da questa realtà  senza prospettive. Il lavoro di ricostruzione della propria esistenza è talvolta lungo e doloroso: bisogna trovare un impiego, avere un reddito, un alloggio, nel momento stesso in cui lo Stato reclama  imposte arretrate di importo astronomico [ n.d.t in Francia le prostitute  pagano le tasse], che spingono di nuovo a prostituirsi. Sorgono anche difficoltà relazionali, la necessità di riconciliarsi, soprattutto con gli uomini, la cui immagine non è certo positiva dopo aver fatto esperienza della prostituzione. "Non ho alcuna voglia di stare con gli altri. Dopo quello che ho passato, mi sento sporca. Sono incapace di intraprendere una relazione con qualcuno" dice Gisèle, che si è prostituita per quattro anni per comprarsi l'eroina. Mylène ha impiegato degli anni per poter ricominciare a vivere normalmente. "Dopo essere uscita dalla prostituzione, non sopportavo più il sesso. Una mano maschile sulla spalla bruciava come il fuoco. Per tre anni non ho più avuto alcun rapporto sessuale. Non potevo proprio. Ero totalmente apatica, anestetizzata".
Brigitte, partita da casa a 14 anni "per essere libera", prostituta in un appartamento e assoggettata ai prosseneti, parla dei soldi come di una droga simile alla cocaina e della prostituzione come di un'esperienza distruttiva. Oggi è priva di illusioni: "Non batto più il marciapiede. Ho incontrato un uomo; tradisce la moglie....Non c'è dialogo nelle coppie. Non fanno sesso, non ne parlano nemmeno. Non c'è dialogo. La norma è quindi il tradimento". E' diffusa la diffidenza nei confronti degli uomini, reputati "falsi", "subdoli" ,"bugiardi". Mylène l'esprime con rabbia: "Bisognerebbe dir loro: se sapeste cosa pensiamo di voi! A che punto vi detestiamo, vi disprezziamo per il fatto che ci comprate. Vi disprezziamo anche quando vi trattiamo con gentilezza e vi ricopriamo di lusinghe".
Molte e molti di loro esprimono un senso di rivolta: "Lo Stato sembra volere che ci siano delle prostitute! Ne ha bisogno! Ebbene! Io lo sono stata! E mi sono drogata per sopportare tutti quegli uomini!" "La differenza tra noi e le ragazze dell'Est consiste nel fatto che loro hanno dei clienti più pericolosi. Ma la prostituzione è devastante nello stesso modo. Si vivono le stesse esperienze". Mylène vive la sua condizione in modo ancora più duro: "Per di più, io l'ho voluto! Non ho mai avuto una pistola puntata alla tempia! Quando è così, non si ha nemmeno la scusa di essere state vittime. Si è scelta questa vita. Ma che la si sia scelta o meno, il trauma è lo stesso". Conclude Christine: "I prosseneti sono dei criminali che mercificano le persone, ma i clienti sono dei ladri d'anima, degli stupratori d'anima". 

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