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- Categoria: Massimo Lizzi
- Pubblicato: 16 Gennaio 2014
L'articolo dedicato da Beatriz Preciado alla critica della legge sull'abolizione della prostituzione, recentemente promulgata in Francia, si configura, a mio parere, come un'autentica apologia del capitalismo biopolitico, come un panegirico della mercificazione di ogni parte e di ogni liquido prodotto dal corpo femminile, come una rivendicazione della negoziabilità di fluidi, organi, pratiche corporee delle donne, tutti sfruttabili e sussumibili nel processo di valorizzazione capitalista. Della donna, come del maiale, si potrebbe dire, parafrasando con cinica amarezza un detto popolare, non si butta via niente, nel senso che la si usa tutta come merce da consumare. Preciado si rammarica della fine dei bucolici tempi in cui fluidi, organi e pratiche corporee femminili erano liberamente disponibili sul mercato.
Esclusi - scrive - [nella modernità] dal campo di applicazione del sistema produttivo in nome di una definizione che li rendeva beni naturali inalienabili e non negoziabili, i fluidi, gli organi e le pratiche corporee delle donne sono state oggetto di un processo di privatizzazione, cattura ed espropriazione che si confermano al giorno d’oggi attraverso la criminalizzazione della prostituzione.
Le scelte lessicali della celebre teorica queer destano più di una perplessità. L'applicazione del termine privatizzazione a fluidi come il latte, organi e pratiche corporee è alquanto incongrua, in quanto con questo vocabolo si designa il processo economico che comporta il trasferimento della proprietà di un ente o di un'azienda dal controllo statale a quello privato. In che senso latte e organi umani verrebbero ceduti dallo Stato ai singoli individui? E in che senso questa operazione potrebbe definirsi un'espropriazione, ossia una privazione della proprietà o di altro diritto reale, imposta dallo Stato, dietro indennizzo, per ragioni di pubblico interesse? Il periodo pare illogico. Inoltre, oggetto di privatizzazione sono enti e imprese, non esseri umani. Non si possono considerare questi ultimi alla stregua di beni alienabili!Sia pure con lemmi impropri, Preciado ha inteso esprimere però un concetto ben preciso. Il suo cruccio è che alla fine del XVIII secolo liquidi e organi del corpo femminile siano stati sottratti al sistema produttivo e allo spazio pubblico, privati del loro valore di scambio, dichiarati intangibili e destinati ad essere consumati (il latte) e usati (gli organi) nella sfera privata. Benché più chiaro, il periodo rimane inquietante proprio per la rivendicazione e la glorificazione della mercificazione di ogni singola parte del corpo femminile.Lo stesso passo ècaratterizzato da altre scelte terminologiche confuse e contemporaneamente allarmanti, come l'accostamento dell'espressione beni naturali inalienabili e non negoziabili ai fluidi, organi e pratiche corporee delle donne. Ora: i beni sono cose che possono formare oggetto di diritti (art. 810 del Codice Civile) o, in un'accezione economica, oggetti disponibili in quantità limitata, reperibile e utili, cioè idonei a soddisfare una domanda. Dunque, secondo Preciado, gli organi, i fluidi e le pratiche corporee delle donne sarebbero null'altro che cose, oppure oggetti disponibili, reperibili sul mercato e atti a soddisfare la domanda. E' questo il nuovo modo di declinare il femminismo e l'anticapitalismo?Vi risparmio le mie considerazioni sul concetto di beni naturali, altrettanto impropriamente impiegato, mentre una breve riflessione merita l'uso senza specificazioni dei vocaboli fluidied organi. Dovremmo inferirne che Preciado propugna l'inserimento sul mercato e la conseguente alienazione di sangue, reni, porzioni di fegato? Sono sicura di no, ma l'assenza di aggettivi che qualifichino i sostantivi impiegati potrebbe suscitare fraintendimenti.La teorica queer lamenta l'espulsione dalla sfera economica, ossia la sottrazione alla mercificazione, tanto dell'allattamento al seno dei bambini altrui, quanto delle pratiche sessuali femminili (prostituzione) e ci offre una sintetica ricostruzione storica del baliatico solo parzialmente corretta. Fino al XVIII secolo, osserva, le donne della classe operaia si guadagnavano da vivere come balie dei bimbi delle famiglie aristocratiche o borghesi, finché lo scienziato Carlo Linneo pubblicò un pamphlet intitolato La nutrice malvagia in cui esortava le donne ad allattare al seno i propri figli per evitare contaminazioni di razze e classi attraverso la suzione del latte e invitava i governi a vietare per queste ragioni la pratica del baliatico. La dissertazione di Linneo avrebbe condotto alla criminalizzazione delle nutrici, alla svalutazione del lavoro delle donne e alla loro reclusione nello spazio domestico".La ricostruzione offertaci da Preciado presenta errori che vale la pena rilevare, semplicemente per dimostrare quanto edulcorata e poco corrispondente alla realtà sia la rappresentazione dell'attività e della vita della balia, così come - lo vedremo in seguito - quella della donna prostituita.L'allattamento al seno (balie da latte) e talvolta l'allevamento per alcuni anni dei bambini altrui (balie da pane) nell'età moderna era praticato soprattutto dalle contadine, tra le quali costituiva una (non la sola) delle numerose occupazioni cui dovevano attendere e una fonte di integrazione del reddito. Non mancavano però le balie residenti in città, che non appartenevano però alla classe operaia.Alla cura delle nutrici venivano affidati i bambini dei brefotrofi che potevano essere accolti nelle abitazioni delle balie oppure essere allattati e allevati all'interno degli ospedali. In quest'ultimo caso le donne assunte erano costrette ad abbandonare per un lungo periodo le proprie case, le proprie famiglie e qualsiasi altra attività. Olwen Hufton nel saggio Donne, lavoro e famiglia pubblicato nel volume Storia delle donne. Dal Rinascimento all'età moderna sostiene che le nutrici assunte dai brefotrofi si collocavano al livello più basso della categoria ed erano esposte al serio rischio di contrarre dai neonati malattie sessualmente trasmissibili come la sifilide.Alle balie affidavano i figli gli aristocratici, gli esponenti del ceto medio cittadino che ritenevano che l'aria della campagna rendesse il latte delle nutrici più sano e corroborante e le lavoratrici impegnate in attività che si svolgevano in ambienti insalubri e pericolosi, impedendo loro di allattare i neonati. In questo caso si trattava di una pratica alternativa all'abbandono temporaneo dei lattanti al brefotrofio. Per le donne aristocratiche, invece, il ricorso alle nutrici era determinato dall'adempimento degli obblighi sociali, da ragioni estetiche, ma, soprattutto, dall'imposizione dei "doveri coniugali". Era infatti diffusa la convinzione che i rapporti sessuali durante l'allattamento corrompessero il latte e danneggiassero le facoltà cognitive del neonato e, poiché il matrimonio era finalizzato alla riproduzione, gli uomini (e sottolineo: gli uomini) decidevano di ricorrere alle balie per evitare di privarsi dei servizi sessuali delle mogli per troppo tempo (almeno 18-24 mesi). La storica Christiane Klapish-Zuber in La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze sottolinea, a tal proposito, l'importanza dei valori patriarcali che riservavano ai padri le decisioni sullo svezzamento dei figli, riducendo al minimo l'influenza delle madri.Inoltre i contratti di baliatico venivano stipulati solitamente tra uomini: tra i membri della commissione ospedaliera, oppure il capo famiglia che consegnava il figlio alle cure della nutrice e il marito di quest'ultima (il bayulo), che incassava i proventi del lavoro della moglie. Pertanto l'affermazione di Beatriz Preciado secondo cui "il latte" nel XVIII secolo "cessa di appartenere alle donne per appartenere allo Stato" non ha alcun fondamento, perché il "prezioso liquido biopolitico", per usare l'espressione della teorica queer, non apparteneva né allo Stato, né alle donne che lo producevano, ma era di proprietà dei mariti.Gli aristocratici potevano consegnare i loro figli ( a Firenze le femmine) alle nutrici di campagna, oppure potevano ospitare le balie nelle loro dimore (nel capoluogo toscano per far loro allattare i maschi). Le nutrici ospitate nei palazzi dei nobili possono definirsi privilegiate rispetto alle altre: percepivano un buon salario e non erano sottoposte ad eccessive fatiche. Tuttavia, la loro esperienza comportava sacrifici non lievi: erano costrette ad abbandonare la famiglia e il proprio neonato, affidato ad un'altra donna, per almeno 18 mesi. I rapporti sessuali erano loro preclusi, perché, come affermava un medico: "una nutrice deve essere considerata soltanto come una mucca da latte. Dal momento in cui perde questa qualità, essa deve essere immediatamente licenziata". [citato da Yvonne Knibiehler, Corpi e cuori, in Georges Duby, Michelle Perrot, Storia delle donne. L'Ottocento, p.331].La mortalità dei neonati affidati alle balie era molto elevata. Nel 1870, nel Morvan, in Francia, la morte colpiva dal 65% al 70% dei bambini assistiti dalle nutrici provenienti da Parigi, il 33% dei bimbi affidati alle balie, ma di origine locale, e il 16% dei bambini allattati dalle mamme. Oberate da impegni e occupazioni di ogni genere, le nutrici non potevano consacrare troppo tempo alla cura dei lattanti. [Ibidem, p.331] Ma le cause fondamentali dell'alto tasso di mortalità erano da imputare soprattutto alle condizioni malsane delle abitazioni e alla scarsità di igiene che generava malattie allora incurabili che colpivano soprattutto i bambini di costituzione più debole.Quando declina la pratica del baliatico? La dissertazione di Linneo assume davvero un'importanza cruciale? In Italia, per la verità, fin dal Quattrocento medici e predicatori avevano criticato aspramente l'affidamento dei lattanti alle nutrici, senza che ciò esercitasse la minima influenza sulla diffusione di questa consuetudine. Le critiche vennero riprese alla fine del Seicento e soprattutto nel Settecento, nell'età dei Lumi e furono, soprattutto, i philosophes come Jean-Jacques Rousseau e Pietro Verri ad enucleare una serie di prescrizioni da imporre alle donne, concepite esclusivamente come madri, come il dovere di allattare i propri figli per garantirne il corretto sviluppo e per arginare l'allarmante fenomeno della mortalità infantile. Ancora una volta era la cultura maschile, nell'esercizio di un'egemonia di lunga durata, a definire le qualità femminili da promuovere e da approvare. Carmela Covato nel saggio Fra norma e cura. Madri e padri nel secolo dei lumi riconduce il declino del baliatico alla preoccupazione di arginare l'elevato tasso di mortalità infantile manifestata dagli intellettuali illuministi e dai ceti dirigenti che nel Settecento mostrarono un'inedita attenzione per le politiche demografiche e sostiene che questa interpretazione sia condivisa da quasi tutti gli studiosi. Tuttavia, la preoccupazione dei governi per l'incremento della popolazione produsse anche esisti diversi. In Francia, dopo la disfatta di Sedan nel 1870, si ritenne indispensabile combattere efficacemente la mortalità infantile per accrescere il numero dei futuri coscritti e garantirsi la rivincita contro la Prussia, dai cui provvedimenti sociali si attinse ispirazione. Così, nel 1874 venne promulgata la legge Roussel che stabiliva che le nutrici dovessero essere sottoposte al controllo dei medici ispettori per garantire che il lattante venisse allevato nelle migliori condizioni igieniche. Per la storica Yvonne Knibiehler, da cui ho tratto queste informazioni, non sono le critiche degli illuministi e la loro mistica della maternità a decretare la scomparsa della pratica del baliatico, quanto piuttosto la diffusione del biberon nel Novecento. Anche Giovanna Fiume osserva come il ricorso al baliatico proseguì nel secolo dei lumi presso i ceti aristocratici e borghesi, mentre nell'Ottocento si diffuse tra le famiglie operaie, soprattutto nelle grandi città. [Giovanna Fiume, Nuovi modelli e nuove codificazioni. Madri e mogli fra Settecento e Ottocento, in Marina D'Amelia (a cura di), Storia della maternità, Laterza, Bari, 1997, p.91]. Nella campagna lombarda, ad esempio, ma anche in quella bellunese, il baliatico diventò una pratica frequente proprio nel corso dell'Ottocento, a causa del deterioramento delle condizioni di vita delle famiglie contadine e della polverizzazione del regime fondiario, che rese l'allattamento mercenario una indispensabile fonte di integrazione. A questo proposito scrive Elena De Marchi: "Le donne di campagna si potrebbero modernamente definire come una manodopera "flessibile" all'interno dell'aggregato domestico, adatta a svolgere attività diverse nell'arco della vita, senza risparmio di fatica. Se la nascita di nuovi mestieri e di nuovi ruoli femminili fa pensare alla pianura dell'Olona come un territorio in rapido cambiamento, al contrario l'autorità esercitata dai padri, dai mariti, dai fratelli, all'interno della famiglia, non fu minimamente scardinata. Ritroviamo spesso le figure maschili a ritirare i salari femminili nelle filande locali, i mariti delle balie a riscuotere semestralmente le sovvenzioni in "roba e denaro" presso il brefotrofio di Santa Caterina [...] Che, tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, un rapido mutamento avesse coinvolto e scosso il mondo rurale è indiscutibile, tuttavia i rapporti di potere all'interno della famiglia e della società rimasero ancora pressoché immutati". [Elena De Marchi, Dai campi alle filande. Famiglia, matrimonio e lavoro nella "pianura dell'Olona" 1750-1850, Franco Angeli, Milano, p.312].L'affidamento dei poppanti alle nutrici proseguì quindi nell'Ottocento, a dispetto delle veementi critiche degli Illuministi che lo consideravano una pratica innaturale. Le convinzioni dei philosophes, tuttavia, vennero progressivamente recepite dagli aristocratici e dai borghesi che nel XIX secolo ricorsero sempre meno di frequente alle balie, a differenza delle lavoratrici e ciò determinò, evidentemente, una riduzione del salario delle balie, ossia una svalutazione della loro attività, come osserva Beatriz Preciado. Tuttavia, la storica Olwen Hufton, che constata la presenza di questo fenomeno in Francia, aggiunge che, più che alla propagazione delle idee degli illuministi, la diminuzione della pratica del baliatico vada attribuita al fatto che, progressivamente, soltanto le donne povere che non potevano trovare altre fonti di sostentamento presero in considerazione la possibilità di diventare nutrici. Esse non erano adatte, peraltro, a soddisfare la domanda delle famiglie benestanti che desideravano rivolgersi a contadine sane e robuste che abitassero in belle fattorie. [Olwen Hufton, Donne, lavoro e famiglia, in Georges Duby e Michel Perrot (a cura di), Storia delle donne. Dal Rinascimento all'età moderna, pp.42-43].Il declino della pratica dell'allattamento mercenario non comportò una svalutazione generale del lavoro delle donne, per il motivo, assai semplice, che quest'ultimo è sempre stato sotto remunerato e ipersfruttato e che il salario femminile veniva riscosso o consegnato ai padri o ai mariti. Né si può affermare come fa Beatriz Preciado che la scomparsa del baliatico abbia determinato la reclusione delle donne nello spazio domestico, in primo luogo perché quella di balia era di per se stessa un'attività che si svolgeva in casa, tranne che per le nutrici interne ai brefotrofi, e inoltre perché costituiva soltanto una delle numerose occupazioni cui erano addette le donne.Questo rapido quadro dovrebbe indurci a comprendere quanto poco giustificato sia il rimpianto di Preciado per l'epoca in cui vigeva la pratica del baliatico. Erano bei tempi quelli in cui le nutrici venivano considerate "mucche da latte", i neonati morivano come mosche, alle lavoratrici era concessa come unica alternativa quella di affidare i figli a una balia o abbandonarli temporaneamente all'orfanatrofio, le donne erano gravate da mille impegni, lavoravano come dannate e i mariti passavano all'incasso? Nemmeno l'appartenenza all'aristocrazia garantiva un'esistenza così spassosa e divertente, dal momento che le donne benestanti trascorrevano l'esistenza tra adeguamenti ai doveri coniugali, gravidanze e parti che si susseguivano a ciclo continuo, costituendo quasi una sorta di catena di montaggio della nobiltà.Se la rappresentazione dell'esistenza e dell'attività delle nutrici da parte di Beatriz Preciado appare idilliaca, quella della condizione delle prostitute sembra appartenere al regno della patafisica, tanto è assurda.Per le definizioni la teorica queer si avvale del linguaggio marxista, impiegato però in modo improprio e scombinato, cosicché la figura della prostituta viene dipinta come un ircocervo capitalista sfruttato e precario, dotato di carne produttiva subalterna. (Gulp!).Questa smisurata confusione deriva dall'uso errato dell'espressione "mezzi di produzione" che indicano quei mezzi (macchine, utensili, materie prime, terre), di proprietà dei capitalisti, che, attraverso l'applicazione della forza lavoro dei dipendenti, vengono impiegati per ottenere prodotti finiti a valore aggiunto. Di conseguenza, affermare che "la questione marxista della proprietà dei mezzi di produzione trova, nella figura della sex worker, una modalità esemplare di sfruttamento" non ha alcun senso, in quanto non si è mai visto un capitalista (vale a dire un proprietario dei mezzi di produzione) sfruttato! Al massimo potrà autosfruttarsi, se svolge nella propria azienda le stesse mansioni di un dipendente! E quali sarebbero poi questi famosi mezzi di produzione della prostituta? Le "risorse affettive, linguistiche e somatiche"? Ma neanche per idea! Queste semmai potrebbero configurarsi come la somma delle attitudini fisiche ed intellettuali che compongono la forza lavorativa, la quale, però, per riferirci ancora a Il capitale, è separata dalla persona che la possiede, sicché a costituirsi come merce è la capacità di lavoro, non l'individuo. Soprattutto, nutro seri dubbi sul fatto che i clienti si rivolgano alle prostitute per fruire delle loro competenze linguistiche e affettive. Riprenderò fra poco questo punto.Per ora osservo come secondo Beatriz Preciado la principale ragione dell'alienazione della prostituta va individuata non tanto nell'estrazione del plusvalore dal suo lavoro, bensì nel disconoscimento della sua soggettività economica e politica. Si dà il caso, però, che nei Paesi Bassi e in Germania, Stati che hanno proceduto alla regolamentazione della prostituzione, le condizioni di vita delle donne che praticano rapporti mercenari siano a dir poco pessime, come ho già dimostrato in altri articoli. L'alienazione, lo sfruttamento, l'oppressione e, soprattutto, la violenza sono infatti strettamente connesse all'esistenza stessa della prostituzione. Sono gli stessi clienti, infatti, a non riconoscere le donne prostituite come esseri umani, ma a concepirle come merci da consumare, come oggetti sessuali da dominare. Altro che soggetti economici e politici! "Carne produttiva subalterna", appunto, per usare un'espressione di Preciado. Subalterna e sfruttata da qualsiasi uomo lo desideri e che si erge a suo padrone sessuale. E' giusto che esista una categoria di donne ridotta a mera carne, subordinata a chiunque?Nel suo articolo Preciado si produce in una crepitante serie di paragoni virtuosistici e illusionistici, allo scopo di generare una sorta di "poetica della meraviglia" che colpisca il lettore distogliendolo da ogni considerazione critica sulla realtà della prostituzione, che viene abilmente rimossa. La sex worker - afferma- è un'osteopata, manipolatrice di muscoli, un'attrice che simula il desiderio (ma non si era scritto, qualche riga prima, che il corpo della prostituta è fonte di verità?), una pubblicista, o meglio, un'addetta alle pubbliche relazioni, quasi si trattasse di una persona che intrattenesse i clienti in piacevoli conversazioni sulla metafisica (o sulla patafisica?) e sulla fenomenologia dello spirito.In conformità con la teoria degli atti locutori, Preciado pretende di produrre una realtà che al contempo occulta la crudezza dell'esperienza raccontata da tante ex prostituite, un'esperienza che rimane scolpita nei loro corpi, ad esempio in quelli di quel 68% di donne affette da sindrome da stress post-traumatico, tipica di chi ha subito violenze sessuali, di cui pare non importar nulla a nessuno. Di stupri (il 57% li ha subiti, secondo i dati riportati da uno studio di Melissa Fraley), di aggressioni fisiche (71%), di minacce con le armi (64%), di omicidi, di tasso di mortalità elevatissimo non c'è traccia nell'articolo di Beatriz Preciado.E non viene neppure menzionata la penetrazione che pure costituisce l'essenza della prostituzione. Non si era detto che un pezzo di corpo vale l'altro, che tutti possono essere immessi sul mercato? Non si era rimpianta forse l'esclusione degli organi dal sistema produttivo? E allora perché una così ferrea volontà di negare che la sex worker venda il proprio corpo? E' come se Beatriz Preciado si fosse impegnata fino allo spasimo, adottando una strategia elusiva, a sottrarre materialità e concretezza all'esperienza della prostituzione per renderla asettica, banale, attraente, senza però riuscire a convincere pienamente neppure se stessa.Il grado piùelevato di mistificazione viene raggiunto nella definizione del lavoro sessuale come "risultato della cooperazione tra soggetti viventi basata sulla produzione di simboli, linguaggio ed emozioni". Ad essere occultato è l'esplicito rapporto di dominio che sussiste tra prostituita e cliente prostitutore che pretende di consumare nel modo che preferisce una merce che ha pagato. Ancora una volta, poi, viene celata l'essenza della prostituzione che consiste appunto in atti di penetrazione reiterati non desiderati e non certo nella produzione di simboli e vengono impiegate espressioni raffinate e asettiche, politically correct, per mascherare la realtà.I linguaggi e le emozioni prodotte da un rapporto mercenario sono infatti di questo genere:
In definitiva... da questo tipo di troie devi andare solo per infilargli lo spiedo nel culo... lasciando perdere tutto il resto.Testata ieri, missilazzo intercontinentale. Periziata, il test è ancora in corso.E' una bella manza, la vado a trovare e glie lo butto nel culo.Sfondato il culo.Ottimo investimento per svuotate di emergenza. Per quanto si lamenti non lo fa mai con determinazione, ci prova e se come me non battete ciglio andate avanti nello sfondamento. Non è entusiastica, ma ricordate che state chiavando una rumena. La pecorina nonostante lei si lamentasse mi ha dato soddisfazione e quando parlava troppo sfondandole la fregna le ho fatto capire che era meglio stare zitta che con me non attaccava. Consiglio solo agli amanti delle zoccolacce rumene.Per quel poco di romeno che mi sono trombato in questi anni, mi sento di concordare con l'atteggiamento di sfondafregne... visto che noi andiamo da loro con i soldi veri e loro, per tutta risposta, cercano di incularti prima possibile... invito tutti gli amanti della sorca romena a spaccare loro il culo per bene senza ritegno.
Potrei proseguire per ore con questi brani che più che recensioni di rapporti sessuali, paiono descrizioni di invasioni militari e di atti di colonizzazione del corpo delle escort . (Questi passi li ho tratti infatti da escort forum). Il linguaggio impiegato, oltre che ultra sessista e razzista, è infatti bellico per questa ossessione aggressiva per lo sfondamento, per la rottura del "fronte nemico". Ai lamenti, alle manifestazioni di dolore delle ragazze questi clienti reagiscono esercitando una violenza ancora maggiore. La volontà di soggiogare, di imporre il proprio dominio alle escort è evidentissima. Come definireste questi rapporti? Una forma di cooperazione tra soggetti viventi? Non vi sembra mistificante una simile espressione?
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