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Oggi mi è capitato di leggere una lettera sull’amore di un genitore per i propri figli.

L’autore di questa lettera ci spiega che amare i propri figli è piuttosto facile, che persino i genitori che fanno cose orribili ai loro figli probabilmente li “amano”. Perché “amare” non è abbastanza.

“Credo che amare e accettare non siano la stessa cosa… Diversamente dall’amare, che è un concetto vasto e vario, accettare è più complesso. Accettare richiede tempo ed esige che si riconosca l’altro per quello che è. Questo è l’elemento che deve entrare in gioco perché l’amore sia incondizionato

…tutti i genitori commettono errori… Commetterò quindi degli errori. Vorrei davvero conoscerli in anticipo e poter fare qualcosa per evitarli. Indubbiamente voi desidererete lo stesso.

Essere genitore vuole dire cambiare i propri figli e apprezzarli.

Noi li cambiamo in mille modi diversi e non farlo sarebbe una negligenza. Insegniamo loro a lavarsi i denti, diamo loro un’istruzione, tentiamo di instillare in loro dei principi morali fondamentali.

Al tempo stesso, tentiamo di vederli e di apprezzarli per quello che sono, per costruire quella ego-resilienza necessaria perché il loro attaccamento sia solido e abbiano da adulti fiducia in se stessi. Mentre alcune cose ovviamente devono cambiare e altre ovviamente devono essere lodate, buona parte degli altri aspetti resta in un grigio territorio di mezzo…

Ogni genitore cambia i propri figli: la chiamiamo educazione.

Educare viene dal latino, composto da “e”, fuori, e “duco”, condurre: quindi guidare fuori.

Ci sono tante idee e teorie sull’educazione.

Mi piace ricordare Maria Montessori, per la quale il bambino non è un contenitore vuoto da riempire, ma un essere completo, capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali”.

L’educatore, secondo il suo metodo, non è colui che si impone, che premia e castiga, bensì colui che propone, predispone, stimola ed orienta.

E mi piace ricordare Alice Miller, che con il suo lavoro ha svelato i danni procurati dalla “violenza educativa”, che non ricomprende solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica, come l’uso del disprezzo, dell’umiliazione, della paura.

Con l’espressione “pedagogia nera” si intende oggi quell’atteggiamento da parte di un educatore che pretende di insegnare al bambino la morale, la correttezza e la sincerità, credendosi autorizzato a ricorrere a punizioni corporali, menzogne, inganni, manipolazione e così via; non è altro che il mascheramento dell’abuso di potere che l’adulto compie sul bambino, un tipo di abuso pienamente legalizzato e chiamato impropriamente “educazione”.

Ventuno paesi europei hanno adottato, dal maggio 2010, normative che vietano la “violenza corporale” sui bambini in qualsiasi circostanza. In un documento del Consiglio d’Europaintitolato Abolizione delle punizioni corporali inflitte ai bambini, possiamo leggere:

I bambini sono esseri umani, i cui diritti sono tutelati nel diritto internazionale, compresa la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa. Uno dei principi basilari dei diritti umani è il diritto di essere tutelati contro la violenza. Non proteggere i bambini dalla violenza equivale a violare questi principi fondamentali. Esistono però numerose altre buone ragioni per vietare le punizioni corporali:

1. Possono arrecare gravi traumi ai bambini

2. Insegnano ai bambini che l’uso della violenza è accettabile per risolvere un conflitto

3. Sono inefficaci in quanto mezzo disciplinare, mentre esistono altri mezzi positivi per educare, correggere e fare ubbidire un bambino, meglio adeguati al corretto sviluppo della sua identità.

4. È più difficile proteggere i bambini da gravi abusi se si accetta la legittimità di certe forme di violenza.

Questo tipo di pedagogia – rispettosa dell’integrità del bambino – stenta a prendere piede: sono molti ancora fermamente convinti che un ceffone al momento giusto è un modo legittimo per cambiare ciò che ovviamente va cambiato, mentre sono pochi quelli che si interrogano a fondo su cosa è giusto cambiare e cosa invece andrebbe compreso prima, e magari, col tempo, addirittura accettato.

Se è dura debellare l’idea che la punizione corporale abbia poco di “educativo”, imparare a riconoscere altre forme di maltrattamento sembra un’impresa ancora più ardua.

Insieme alla lettera che ha stimolato le riflessioni sull’amare, l’accettare e il cambiare i nostri figli, oggi ho trovato in rete anche questa notizia: una mamma pubblica su facebook la foto in primo piano della figlia con un grosso cartello sul quale, narrata in prima persona, è descritta la sua punizione. Il testo:

Il mio nome è Hailey. Sono una gentile, premurosa e intelligente ragazzina, ma ho fatto scelte sbagliate con i social media. Come punizione sto vendendo il mio iPod e donerò i soldi all’associazione Beat Bullying, con la speranza di cambiare il mio comportamento e di fare più luce sul bullismo. Perché il bullismo è sbagliato“.

Il bullismo è sbagliato, non ci piove: qui non si tratta solo di rispettare il bambino, ma di trasmettere al bambino il rispetto dell’altro da sé: il bullo va fermato perché perseguita e umilia altre persone.

Per fermare questa bulla, il genitore non ha trovato una soluzione diversa dall’umiliarla pubblicamente in rete.

La foto della bambina diventa in breve tempo virale, tanto che la ritroviamo addirittura su un sito italiano.

Mi domando: come pretendiamo di proteggere i nostri figli dal bullismo se noi adulti siamo pronti a diventare i bulli dei nostri figli?

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