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di Maria Rossi
Limitarsi alla difesa della legge 194 è controproducente - si sostiene in un recente articolo su incroci de-generi e rischia di produrre l'adeguamento all'indirizzo antiabortista ed abolizionista (della prostituzione), seguito rispettivamente dalla Spagna e dalla Francia. 
Non si comprende perché battersi per il mantenimento di un diritto: quello d'aborto debba condurre alla sua soppressione o all'abolizione della prostituzione, che non ha alcuna attinenza con l'argomento in questione, né risulta chiaro perché ci si ostini ad accomunare in modo totalmente arbitrario e illogico quest'ultimo orientamento al movimento pro-life. Del resto questa non è l'unica incongruenza di un articolo che, pur animato da buone intenzioni, appare costellato da incoerenze, fraintendimenti e ossimori concettuali.
Più che battersi per la conservazione di una legge: la 194 che riconferma la funzionalità della donna alla riproduzione sociale - si afferma - sarebbe necessario rivendicare, come faceva Carla Lonzi, una sessualità libera dal dogma della procreazione e, in generale, esigere il diritto alla costruzione di una soggettività che sia dotata degli strumenti, inclusi quelli economici, (disponibilità di un reddito) necessari all'esercizio della scelta di generare o meno figli e di disporre del proprio corpo, incluso quali parti mettere a valore, senza dover essere costretta a riprodurre l'ordine sociale funzionale a quello economico
Per sostenere questa tesi si cita Carla Lonzi, che viene così, anche se non in modo esplicito, indebitamente accostata alle femministe sostenitrici della prostituzione. Ciò deriva, a mio parere, da un'interpretazione riduttiva e, quindi, travisante, del suo pensiero. Secondo l'autrice dell'articolo in questione, Lonzi andrebbe annoverata tra le femministe che, negli anni Settanta, si batterono per l'affermazione di una sessualità libera non soggetta alle necessità di riproduzione della famiglia e dello Stato, espressioni del patriarcato. Quel che colpisce in questo testo è la totale assenza del protagonista del rapporto eterosessuale: l'uomo. La sessualità maschile sembrerebbe, infatti, configurarsi come una semplice espressione di conformità e obbedienza agli imperativi categorici della riproduzione imposti dalla famiglia e dallo Stato. Quasi che, senza le ingiunzioni del Leviatano e del capitale, l'uomo fosse ben disposto a rinunciare a una sessualità procreativa incentrata sul coito, dalla quale - ne discende come conseguenza - non ricaverebbe un gran piacere. Ciò non corrisponde però al pensiero di Carla Lonzi, che in Sessualità femminile e aborto invitava le donne a porsi questa domanda cruciale:
Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?
e osservava come questo interrogativo contenesse i germi della nostra liberazione: formulandolo, le donne abbandonano l'identificazione con l'uomo e trovano la forza di rompere un'omertà che è il coronamento della colonizzazione.
E ancora:
Ugualmente l'uomo fa l'amore come un rito della virilità e alla donna accade di restare fecondata nel momento stesso in cui le viene sottratto il suo specifico godimento sessuale, nel momento in cui si compie l'atto che la rende sessualmente colonizzata.
La sessualità meramente finalizzata alla riproduzione costituisce per Carla Lonzi l'espressione di una società patriarcale che blocca le donne in una posizione subordinata e servile che scaturisce dall'idealizzazione dell'uomo e dal disprezzo di sé.
Nel mondo patriarcale, cioè nel mondo dove la donna viene immobilizzata in una condizione subalterna e servile attraverso una mitizzazione dell'uomo e una svalutazione di sé sistematicamente sollecitate da ogni istante della vita privata e sociale, l'uomo ha imposto il suo piacere. Il piacere imposto dall'uomo alla donna conduce alla procreazione ed è sulla base della procreazione che la cultura maschile ha segnato il confine tra sessualità naturale e sessualità innaturale, proibita o accessoria e innaturale.
Non sono dunque le necessità di riproduzione della famiglia o dello Stato ad imporre modalità sessuali procreative, ma è l'uomo stesso che appaga in tal modo il suo desiderio, provocando l'assoggettamento della donna alle sue istanze di godimento. E' questo tipo di sessualità a generare in lui l'idea della propria superiorità e a dar vita alla famiglia patriarcale autoritaria, anziché il contrario.
Una può chiedersi: cos'è che manca nella elaborazione della teoria socialista che il femminismo avrebbe potuto apportare?- si chiede Carla Lonzi nel saggio La donna clitoridea e la donna vaginale - Noi rispondiamo: per esempio, questo: che la subordinazione della donna è sancita nell'atto sessuale del coito da cui l'uomo trae la convinzione naturale della sua supremazia, che questo è il presupposto della famiglia patriarcale autoritaria, oppressiva e antisociale [...]
E' a questo punto evidente come Lonzi auspichi l'affermazione di una sessualità clitoridea, o meglio, polimorfa non asservita alle istanze di godimento maschili, che si realizzi nell'incontro tra due soggetti umani, la donna e l'uomo, e i loro sessi e non tra il sesso di un soggetto egemone e il suo strumento. (Sessualità femminile e aborto). 
Ora: cos'è la prostituzione se non la riduzione di chi la pratica a mezzo per l'appagamento dei desideri dei clienti, ad oggetto sottomesso alla loro volontà di dominio? Come si può quindi far riferimento al pensiero di Carla Lonzi in un articolo che rivendica la messa a valore della sessualità? Si tratta di una sorta di ossimoro concettuale! E non si può sfuggire alla contraddizione rilevando che Lonzi criticava la sessualità finalizzata alla procreazione, mentre la prostituzione non tenderebbe a questo scopo. Non è così. I rapporti mercenari, riducendosi ad una serie di atti di penetrazione non desiderati, anziché sovvertire, riproducono e rafforzano il modello sessuale procreativo dominante e la sottomissione delle persone che la praticano, le quali rinunciano alla manifestazione della propria sessualità, alla volontà dei clienti. La prostituzione è un'istituzione patriarcale perfettamente compatibile con il matrimonio e con la famiglia eterosessuale. Lo confermano i clienti. Uno di questi, intervistato da Claudine Legardinier et Saïd Bouamama, teorizza la specializzazione delle prestazioni di servizio, per così dire. Per lui la moglie serve a stirare camicie e a cucinare, la prostituta a far sesso.
Avere una donna che non vi dà nulla a letto, ma che vi offre molte altre cose: un sorriso, un pasto, un abito stirato e da cui non ci si vuole separare. E si va da un'altra ragazza perché a letto non si ha niente. 
Interessante anche la testimonianza di un cliente italiano che, sul sito Gnocca Travel, discutendo dei benefici e degli svantaggi connessi all'eventuale introduzione anche in Italia di una normativa imperniata sulla regolamentazione della prostituzione e quindi sull'apertura dei bordelli, sottolinea come questo provvedimento produrrebbe un maggiore e desiderato assoggettamento delle compagne alla volontà del partner.
Comunque, pro e contro:pro: finalmente posti decenti e seri dove divertirsi senza varcare i confini nazionali;contro: per noi nessuno, per le mogli e fidanzate sì, perché dovrebbero abbassare le pretese e iniziare a scopare bene a letto.
Se citare Carla Lonzi nello stesso periodo in cui si rivendica il diritto di mettere a valore gli organi genitali è un ossimoro concettuale, lo è pure indignarsi per la resa della sinistra alle ragioni del capitale per rivendicare poi, con assoluta nonchalance, il diritto di sussumere la sessualità nel processo di valorizzazione capitalista. Non si combatte certo il capitalismo reclamando la sua estensione mercificante ad ogni sfera vitale e ad ogni parte del corpo! Semmai lo si contrasta sottraendo al suo dominio quante più relazioni ed attività possibili, la sessualità innanzitutto!
A questi due ossimori concettuali se ne affianca un terzo: l'accostamento dell'orientamento antiabortista a quello abolizionista, tendenze che sono in realtà antitetiche come ho già sostenuto in altri due articoli. Ispirandomi al pensiero di Carla Lonzi, potrei ora aggiungere che negare alla donna la libertà d'aborto significa far ricadere su di lei la responsabilità esclusiva di un atto che appaga l'uomo e che è stato imposto dalla cultura patriarcale come forma naturale della sessualità. Al contrario: abolire la prostituzione significa cancellare un'istituzione che incarna e riproduce in sommo grado la subordinazione della donna al dominio e al desiderio maschile, l'incontro tra un soggetto egemone e il suo strumento, la riduzione della donna ad oggetto sessuale, il primo concepito dall'uomo, l'archetipo della proprietà privata (Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel). 
Vorrei concludere l'articolo formulando una serie di auspici. Occorre anzitutto mobilitarsi per il mantenimento della legge 194 e per evitarne il completo svuotamento già in atto da tempo a causa dell'abnorme estensione dell'obiezione di coscienza e dell'autorizzazione legislativa concessa (nel Veneto ad esempio) ai volontari del Movimento per la vita di svolgere la loro propaganda nei consultori e nelle strutture sanitarie, per non parlare poi di quel che è appena avvenuto al Parlamento europeo. In un periodo di continua riduzione dei diritti, salvaguardare i pochi rimasti è tutt'altro che inutile! Tuttavia la legge 194 non soddisfa affatto, proprio perché prevede il diritto all'esercizio dell'obiezione di coscienza che, a mio parere, andrebbe abrogato. Ritengo, però, che ci si debba in particolare impegnare per l'affermazione di una sessualità non soltanto svincolata dal dogma della riproduzione e della eterosessualità, ma soprattutto libera dall'asservimento alle istanze di piacere maschili e in grado di manifestarsi come incontro tra soggetti posti su un piano di parità. Infine, è indispensabile che la scelta di riprodursi sia resa effettiva, assicurando quanto meno a chi la voglia intraprendere la disponibilità regolare di un reddito adeguato e l'accessibilità ad un'ampia rete di servizi pubblici. Su questo specifico punto concordo con l'autrice dell'articolo che ho criticato.

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