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Questa immagine ci dice che l'autorità è maschile: gli amministratori della città alla presidenza sono tutti uomini. A loro spetta il potere e la competenza. La decorazione invece è femminile. Due ragazze infiocchettate di rosso come un pacco di Natale. Mute e marginali. A loro spetta la parte ornamentale. Nello specifico: la raffigurazione dei pacchi natalizi. L'immagine non ci dice nulla dei personaggi, ma i giornali ci informano che si tratta dell'amministrazione di Taranto, dunque una giunta di sinistra, con un sindaco, Ipazio Stefano, niente meno che di Sel, il partito di Nichi Vendola. Il quale ha criticato l'iniziativa. Nessuno è immune dal sessismo, lo sappiamo. Ciò nonostante stupisce lo stesso. Amministratori di sinistra, nel 2013, ignari del dibattito sul corpo delle donne e delle tante polemiche contro il berlusconismo sessista. Così la foto dice anche del carattere autistico di tanta parte del potere politico. Il caso è stato già riassunto e denunciato dal blog Un altro genere di comunicazione. La Rete delle reti femminili lo ha commentato in questo modo.
Per quanto la trovata sia indifendibile, c'è chi si è impegnato a difenderla nei vari thread di discussione sui social media e sui blog. Anche per via del fatto che una parte delle contestazioni ha preso di mira le ragazze, colpevoli di aver accettato di svolgere quel ruolo. Con la stessa filosofia, il biasimo potrebbe essere esteso a tutte le donne presenti, che non si sono alzate per andarsene. E a tutte le donne lettrici che puntano il dito contro le ragazze invece che contro il sindaco. In un discorso pubblico ha poco senso rimproverare qualcosa alle ragazze. In una situazione di disoccupazione strutturale, prevalentemente femminile e giovanile, in particolare al sud, e proprio in Puglia, dove le opportunità di lavoro sono anche e soprattutto queste, dove la società circostante dimostra di avere queste aspettative, dove la cultura prevalente continua ad educare e a trasmettere modelli secondo cui l'uomo è il soggetto e la donna l'oggetto, è difficile e anche ingiusto pretendere che una ragazza dica no a questo genere di offerte lavorative. Il dito va puntato contro gli amministratori e gli organizzatori, che hanno messo in scena quella rappresentazione dei ruoli di genere. E contro un sistema pubblico e privato fondato sulla segregazione del lavoro, per cui alle ragazze quei lavori si offrono e non altri. Sentendosi messe sotto accuse, le due ragazze si sono difese.Dato che giudichiamo una rappresentazione e una condizione di segregazione sessuale, ha poco senso anche l'argomento opposto. Quello secondo cui il problema non esiste, perchè le ragazze sono libere e nessuno le ha costrette. Ci mancherebbe altro! Uno spot, un film, una rappresentazione teatrale possono essere razziste, anche senza che gli attori e i modelli neri che vi prendono parti siano obbligati a recitare e ridotti con i ceppi alle caviglie. Dalle catene di montaggio, ai call-center, alle imprese di pulizia, tutti i lavoratori sono formalmente liberi. Ciò non chiude il discorso sulle condizioni di lavoro, sull'alienazione, sullo sfruttamento. Allo stesso modo, il consenso delle donne non chiude il discorso sulle rappresentazioni sessiste e sulla divisione sessuale del lavoro.Nella discussione, al solito, si inseriscono e confondono argomenti moralisti. Le due ragazze sono state definite veline da Repubblica e poi da molti commentatori. La definizione è stata ritenuta offensiva, come fosse un equivalente edulcorato di prostituta o attrice porno. E' stato commentato l'abbigliamento, scollato, succinto, pacchiano, di cattivo gusto. Tutte questioni non pertinenti. Se le due ragazze fossero state vestite in modo sobrio e morigerato, come due antiche vallette, avrebbero comunque svolto solo una funzione ornamentale. Il discrimine non passa tra nudo o vestito, tra erotico o casto, ma tra soggetto e oggetto.

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