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Se cerco a ripetizione di sfatare i pregiudizi negativi che affliggono il corso di laurea in Scienze della comunicazione non è solo perché ci insegno e lo presiedo (non sopporto l’autoreferenzialità), ma perché credo che vi si annidi la radice della profonda sottovalutazione che la cultura italiana (tutta) riserva al mondo della comunicazione, in tutti gli ambiti: commerciale, sociale, istituzionale, politico. Uno sguardo al passato aiuta sempre a capire il presente, per cui ecco la testimonianza di Valentina, che si laureò in Comunicazione a Bologna nel 2003:

Cara prof, leggo sempre con emozioni contrastanti i casi e le testimonianze che pubblichi. Sai già che mi laureai in Scienze della Comunicazione, vecchio ordinamento, laurea quinquennale, nel 2003. Feci la selezione per il numero chiuso nel 1997, eravamo in 2000, c’erano solo 140 i posti. Il primo giorno di lezione del primo anno, Umberto Eco ci disse: “Sbagliate se pensate di imparare qui un mestiere. Il lavoro ve lo dovrete inventare”. Frase da dramma famigliare, e si era nella seconda metà degli anni 90. Mio padre non la prese benissimo.

Ho discusso la tesi nel 2003, un anno fuori corso. Ricordo che più o meno solo un centinaio di noi arrivarono in fondo. Curriculum in mano, leggevo gli annunci di lavoro. La laurea in Comunicazione non era nemmeno prevista nelle tendine di ricerca: per le posizioni di marketing e comunicazione si chiedevano di lauree in Economia, Lettere o addirittura Ingegneria Gestionale (che andava tanto di moda all’epoca). SdC semplicemente non esisteva.

Il web era la mia passione. Da sola durante gli anni di università mi ero spinta a provare, imparare, fare siti, tenermi informata, per integrare ciò che studiavo in aula. Ero una studentessa, avevo tempo e potevo farlo. Per farla breve, questa mia attitudine al “ciappino” (termine bolognese sempre utile) mi ha aiutato a ottenere uno stage nel mondo del web. Da lì, contratti a progetto, molteplici rinnovi, tante ore di lavoro e di impegno gratuito a denti stretti.

Oggi, come sai, sono web & social media manager per un brand italiano assai conosciuto nel mondo. Ho un buon contratto, una buona reputazione e uno stipendio più che dignitoso. Certo, una posizione come questa non è esattamente come la si pensa quando si è studenti, non sono tutte rose e fiori, ma alla fine faccio il lavoro per il quale ho studiato, che era anche la mia passione, e che la laurea in SdC mi ha aiutato a esprimere. E ho sempre usato (e uso) tutto di quello che ho studiato.

La mia è stata la prima generazione che ha vissuto la vera precarietà lavorativa: l’idea che non ci fosse un futuro per noi, un futuro che fosse coerente con le aspettative che i nostri genitori ci indicavano dall’alto delle loro carriere anni 70, è un trauma che ancora nelle discussioni da aperitivo emerge con un misto di tristezza e rabbia repressa.

Perciò sono stata fortunata, lo posso dire. Anche i miei colleghi ora sono laureati in comunicazione, e quando si apre una posizione per stage, SdC è sempre in cima alla lista . Almeno qualcosa è cambiato, questo è certo.

Ai colloqui per gli stage, però, vedo tanti ragazzi neolaureati, spenti, senza idee, senza obiettivi. Chiedo loro perché hanno scelto quello specifico percorso di studi, non sanno rispondere. Sembra che dormano. Tu vorresti svegliarli e dir loro: “Datti una mossa! Non sto cercando una persona che sappia tutte le risposte, ma che abbia la capacità e la voglia di fare le domande” . Cerco in quegli occhi la stessa passione che avevo io, e la trovo poche volte.

Non so se posso esser catalogata sotto la voce “quelli che ce l’hanno fatta”, ma una cosa la vorrei dire a chi si laurea ora in comunicazione: la situazione è critica, ma se la comunicazione è la vostra passione allora avete fatto la scelta giusta, siatene fieri. Soprattutto, però, non pensate che questo basti; non può e non deve bastare. Perciò abbiate le idee chiare, attivatevi, fatevi notare per la vostra passione, senza strafare, ma mettetevi in gioco. Fate vedere che sapete comunicare, in tutti i sensi possibili.

Ho scritto velocemente queste righe: volevo darti anch’io la mia testimonianza. Fanne l’uso che vuoi. Valentina Tolomelli

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