Quando finisco  la diretta di Fahrenheit da Più libri più liberi,  nel tardo pomeriggio di sabato, si avvicina una ragazza e mi porge un piccolo libro dalla copertina arancione. Il libro ha il cognome dell’autore più grande del titolo, così che una parola sfuma nell’altra: Caronia Virtuale.  Raccoglie testi che Antonio Caronia (che manca sempre più) scrisse all’inizio degli anni Novanta, quando l’avventura del postumano e delle realtà virtuali, appunto, sembrava ricca di fascino e potenzialità. Le ultime parole del libro, pubblicato nel 2010 da Mimesis, sono infatti queste:

“Piangere sulla fine della distanza, protestare contro lo strapotere della tecnologia, rimpiangere i bei tempi in cui soggetto di conoscenza e soggetto di esperienza erano due cose ben distinte e padroneggiabili, ammonire severamente sui pericoli delle nuove macchine mentre si prospera foraggiati da coloro che le costruiscono e ci lucrano, tutto questo non servirà a un bel niente. La scommessa è lì, come sempre è stato nella storia della specie, come sempre è stato in questi ultimi cento/centoventi anni. La tecnologia microelettronica introduce per la prima volta condizioni di trasparenza, di pervasività, di domesticità che i gestori, i burocrati e i manager della morente civiltà industriale si ingegnano a imbrigliare. Gli artisti, i progettisti, gli utenti, non hanno che da prendere quella tecnologia, lavorarci e sudarci, divertirsi, incazzarsi, liberarla dalle logiche che non le sono proprie, costruirci sopra un progetto di vita diverso”.

Vent’anni dopo, il piccolo libro di Caronia andrebbe letto insieme a un altro piccolo libro, En Amazonie,  scritto da un ragazzo di 26 anni, Jean-Baptiste Malet, che si è fatto assumere nel magazzino Amazon di Montélimar, in Francia, per capire come funzionavano le cose nel regno del Work hard, Have fun, Make history, dove ai giornalisti era proibito l’accesso. La maggior parte degli internauti, scrive Malet, “ignora ciò che accade dietro il loro schermo, una volta confermato l’ordine, quando l’economia digitale - presunta virtuale - ridiventa reale”. Ovvero: camminare per venti chilometri a ogni turno (dal tramonto all’alba, quello toccato a Malet), con cinque minuti effettivi di pausa per due sole volte, perquisizioni all’entrata e all’uscita, un gps che monitora il ritmo produttivo, sorvegliati senza sosta dal gruppo dei manager chini sugli schermi dei loro computer per verificare che i dipendenti raggiungano l’obiettivo prefisso. A volte il microfono si accende, nella gigantesca cattedrale dove gli oggetti in attesa di essere imballati giacciono nel caos, scarpe accanto a libri, cd accanto a giocattoli, e la voce del manager si diffonde nelle immensità del magazzino: “Ieri notte abbiamo superato l’obiettivo! Se abbiamo potuto realizzare questa prestazione è grazie a coloro che ieri hanno accettato di fare delle ore di straordinario dalle 4:50 alle 5:50. Un grande, grandissimo grazie a tutti loro. Faciamo loro un applauso. Questo sera, dovremo fare 19.000 pacchi, e gli ordini cominciano ad arrivare. Allora coraggio, buon lavoro e buonanotte a tutti”. “Siete tutti motivati?”, chiede - prima di tutto questo - Catherine, la responsabile assunzioni dell’agenzia interinale Adecco, che offre posti di lavoro in Amazon. E insiste: “Voglio solo persone motivate”. E spiega quanto sia importante vivere in un altro mondo, è come essere in America, pensate,  bisogna servire il cliente “al 200%”. Ci sono piccolezze: vi potrà essere chiesto di lavorare in un giorno di riposo, in un giorno di ferie e anche la domenica. Al terzo ritardo, anche di pochi minuti, si viene licenziati. Ah, sì, il parcheggio: “dovrete tassativamente parcheggiare a marcia indietro. Se doveste parcheggiare in modo errato o calpestare una linea bianca, avrete un primo avviso da parte della sicurezza. La seconda volta l’auto sarà rimossa”.  Catherine è onesta. Elenca i lati negativi: i tempi di pausa sono corti e non si può mangiare durante il lavoro, sarete controllati da vicino se non siete veloci. Ma ci sono i lati positivi: ci si dà del tu. E vi verrà pagato il pranzo di Natale, ci saranno delle tombolate e a volte, per Pasqua, si organizzano cacce alle uova nel parcheggio. Vent’anni dopo, quali logiche stanno prevalendo? E quanto - che è la cosa più importante - noi che siamo diventati postumani, ne siamo consapevoli? Buon lunedì, commentarium.

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