Probabilmente vi annoierò, ma torno sulla letteratura del dolore, o per meglio dire sull'editoria del dolore, perché è comunque la spia di un'esigenza di chi legge, e forse anche di chi non legge. Naturalmente, scrivere significa sempre fare i conti con se stessi e con il proprio dolore:  basti pensare ai romanzi di David Grossman (specie lo splendido Caduto fuori dal tempo) e a come il dolore, in questo caso, sia il libro. Ma non tutti sono Grossman, per banale che sia la considerazione, né Joan Didion, né Stephen King.

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