Le fidanzate dei taxisti

2301481953_955656b531Ci avete mai fatto caso? Anche se salite su un taxi solo una volta ogni tanto, inesorabilmente il cellulare del taxista squillerà. Dall’altra parte c’è una fidanzata che vuole sapere tutto, ma proprio tutto, ciò che il pover’uomo sta facendo: dove sta andando, quando tornerà, quante corse ha fatto e, potendo, anche l’identikit della passeggera del momento. Le fidanzate dei taxisti (fidanzate, si immagina, e non mogli, che forse sarebbero più disincantate e meno attente) sono gelose, e a ben pensarci ne hanno qualche ragione. Chi guida un taxi è (spesso) un formidabile individualista, uno che ha abbandonato la fabbrica o l’ufficio per non avere più a che fare con capi e colleghi; un veterano della giungla urbana che, perlopiù, nella sua vita privata ha scelto di vivere fuori città, tra Caselle e Cumiana, Chieri e Nole, possibilmente in compagnia di grossi cani. Incontrollabile, dunque, poiché privo di orari e sede fissa, e potenzialmente libero di trasgredire dove e come vuole. Un vantaggio però c’è, anzi due: costrette ad ascoltare i monosillabi del taxista versus fidanzata, le passeggere come me si rieducano e imparano che cosa non fare e non chiedere al proprio partner. Inoltre, il senso di colpa per le telefonate che noi infliggiamo ai taxisti viene cancellato, per par condicio. E il taxi torna ad essere quello che deve: un piccolo lusso, un’oasi di pace dove, finalmente, potersi confidare con le amiche.

foto di Marc oh! tratta da Flickr

Salvare i ragni porta fortuna?

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Uccidere un ragno di sera porta terribilmente sfortuna. Lo sostenevano le nonne, la letteratura lo conferma, e in tutti i casi dispiace (a me) schiacciare, affogare o aspirare uno di questi insetti dall’apparenza elegante e discreta che spesso, soprattutto d’estate, si trovano nella vasca da bagno o in altri punti tranquilli. Così cerco, con un po’ di difficoltà (il ragno è diffidente e gli piace avere il controllo della situazione) di farli salire su un foglio di carta e rimetterlo là da dove è venuto, cioè sulle piante del balcone. Se però lo vede prima uno dei maschi di casa, l’animaletto è perduto: gridano, sbuffano, schiacciano, innaffiano, e un momento dopo il signor ragno è defunto.
Come mai gli uomini hanno così paura degli insetti? Scene di panico si producono anche alla vista di un’ape, o peggio di una vespa; una (modesta) invasione di formiche richiede la guerra chimica, una farfalla notturna che vola necessita a qualunque ora un attacco di contraerea. Inutile spiegare loro che, oltre alla sfortuna delle nonne, le quantità di insetticida (in spray, in polvere…) che si utilizzano per sconfiggere un animale di pochi millimetri sono di gran lunga più nocive dell’animale stesso. Mi chiedo come si comporterebbero se mai vedessero un topo; inoltre (fateci caso) provano molto disagio verso i piccioni, quelli che Woody Allen chiama ‘topi con le ali’. In attesa di studi più accurati, salvate i ragni di casa. Tra poco si parte per le vacanze e nessuno li molesterà più.

Scusate il ritardo

Fotto tratta fa flickr: MarkAllanson

Fotto tratta fa flickr: MarkAllanson

Non tanto il mio nello scrivere questo blog, ma il nostro (di donne, lavoratrici, mamme, mogli, fidanzate e tante altre cose). Provate a fare un esperimento – lo so, non c’è tempo, ma è divertente – segnando una crocetta su un pezzetto di carta o sul cellulare ogni volta che vi scusate con qualcuno nel corso della giornata. Io l’ho fatto, in media sono almeno dieci. Mi scuso quando telefono a qualcuno per lavoro, quando dimentico di comprare ai figli un righello o un quaderno (che potrebbero benissimo comprare da soli, ma bisogna capire le implicazioni affettive), quando sono troppo di fretta per svolgere le mie funzioni domestiche di segretariato generale (un’attività squisitamente femminile che consiste nel semplificare le attività altrui), quando sono in ritardo nelle consegne di uno dei tanti lavori, quando mi scordo di richiamare un’amica nel tempo previsto (qualcuna capisce, qualcun’altra no).

In questo modo, quando bisognerebbe scusarsi davvero, perché si è fatta una sciocchezza o ferito qualcuno senza volerlo, la scorta si è esaurita e viene voglia di mordere. L’altra sera stavo rientrando a casa in auto, di corsa perché c’era del lavoro ancora da fare, ed ero di cattivissimo umore per ragioni personali. Parlando ad alta voce a me stessa, come credo molte di noi facciano in macchina, mi sono sentita dire: “Se avessi tempo, mi metterei a piangere”. Siccome non era una battuta, l’ho trovata molto divertente, mi ha fatto ridere e l’ho diffusa alle amiche.

Un silenzio tutto rosa

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A due settimane dalle elezioni comunali, la campagna torinese – in verità alquanto noiosetta – si distingue tra l’altro per il fragoroso silenzio delle donne, o almeno della stragrande maggioranza delle loro organizzazioni, associazioni, reti, rappresentanze collettive. Non che ne manchino nelle liste di tutti gli schieramenti, anzi. E non mancano neppure i candidati, a cominciare da Piero Fassino, che si sono assunti impegni per il futuro della propria giunta e delle nomine comunali, se saranno eletti.

Quello che non c’è è un invito a votare per le donne in lista, mentre, come siamo ormai abituati a vedere, la città si riempie di manifesti, convegni e incontri probabili e improbabili e l’attività dei candidati e delle candidate si fa frenetica e cannibale, come impone il meccanismo della preferenza unica.

I casi sono due: o le donne sono più favorire quando la preferenza non c’è (e allora il gioco è tutto interno ai partiti, o a ciò che è rimasto di loro, ed è lì che ci si deve battere per farne candidare di più), oppure siamo favorevoli al fatto che gli elettori possano scegliere? In questo secondo caso però è evidente che se ci si vuole garantire una presenza maggiore di donne, per esempio in Consiglio comunale, occorre sostenerle. E se gli appelli al ‘donna vota donna’ non servono più, sono superati o controproducenti, occorre inventarsi qualcos’altro. Invece, la mia sensazione è che le candidate si guardino tra loro con la stessa competitiva diffidenza che caratterizza tutto il resto della campagna sulle preferenze. Mi piacerebbe essere smentita da qualche sorprendente e creativa iniziativa che contenesse in sé almeno un po’ dell’entusiasmo del 13 febbraio…

Testamento biologico? No, grazie

test 2Conosco molti torinesi (una è mia madre) che pieni di entusiasmo depositano – o cercano di farlo – il proprio testamento biologico qui e là: prima nei luoghi ‘privati’ che si sono messi a disposizione, come meritoriamente ha fatto la chiesa valdese, e ora anche in Comune, dove, si scopre, i moduli sono stati concepiti in modo da limitare parecchio la scelta. Sono naturalmente favorevole al fatto che si possano certificare le proprie volontà a proposito di come si vorrebbe finire di vivere; ma non mi riesce di condividere l’entusiasmo. Ancora una volta, mi pare, la giusta insofferenza per le tesi di qualcun altro – in questo caso per il fondamentalismo cattolico che vorrebbe imporre una generica ‘vita’ sopra qualsiasi altra scelta personale – spinge molte persone a percepire e perfino a propagandare come del tutto positivo qualcosa che non lo è. Non c’è nulla di allegro nell’eutanasia, anzi. Né c’è da scherzare sul fatto che alcuni tipi di malato, o di anziano, possano rivelarsi un peso: per i propri parenti, per il sistema sanitario pubblico, per chi non può pagare l’assistenza privata, per chi non può sopportare di vedere “soffrire troppo” una persona cara che preferirebbe ricordare vitale e in salute. Paradossalmente, sospettiamo che schiere di medici e infermieri siano pronti a tenerci in vita contro la nostra volontà, accanendosi con ogni tipo di macchinario, e non li sospettiamo di voler eliminare – o almeno spostare da un’altra parte - chi non può guarire e occupa un letto di troppo, chi è solo, chi è debole, chi non ha famiglia. In generale, io non sospetto dei medici, così come non sospetto di magistrati, insegnanti e funzionari del fisco, e credo che facciano il loro lavoro con coscienza, anche se in molti casi non sono troppo capaci di comunicarcelo. Così, pur non essendo contraria al testamento biologico, non sento il bisogno di farlo. Mi fido. E voi?
PS Non esiste paragone possibile tra la vita di un essere umano e quella di un animale. E tuttavia, fateci caso, mentre un numero sempre maggiore di persone prova scrupoli etici verso la sofferenza di altri mammiferi, volatili, pesci, e magari decide di diventare vegetariano, l’eutanasia sugli animali viene diffusamente praticata, anche e soprattutto quando sono amati. “Soffre troppo”, diciamo accompagnando il vecchio cane o il vecchio gatto dal veterinario, e dato che loro non sanno leggere il farmaco letale, chiamato “Tanax”, è di solito in bella vista nello scaffale.

Fotografare la prostituzione

MdF_Nan-Goldin_Joey-laughing_web_2010Non è facile trovare le immagini giuste quando si parla di prostituzione, in strada o al chiuso. In questi giorni ho cercato di scegliere quelle meno offensive, ma anche meno tristi. Non solo e non tanto per non ‘offendere’ la sensibilità dei lettori. Non solo per non incoraggiare uno stereotipo molto abusato da quando le prostitute straniere hanno cominciato a popolare le nostre città (per anni, molti giornali – tra questi fortunatamente non il mio – hanno messo in pagina immagini di ragazze africane che salivano sul treno o sull’autobus con la didascalia ‘prostitute nigeriane’; ma la vera perla fu raggiunta in un pezzo di cronaca che raccontava la storia di una di loro in coma in ospedale, “dopo un’interruzione di gravidanza frutto di un incidente sul lavoro”. Sic). Ma anche perché non mi sembra giusto fornire un’immagine esclusivamente negativa e violenta di un fenomeno che ha poco o nulla di romantico o di poetico ma che non è sempre intrecciato a violenze e schiavitù. Perché se fosse così, allora avrebbero ragione quei cittadini (e quelle cittadine) che vogliono semplicemente fare ‘piazza pulita’, cacciare dalle strade chi vende il suo corpo, non vedere più qualcosa che disturba, che urta, che scandalizza. Quelli (e quelle) che alla parola ‘transessuale’ hanno un moto di fastidio, quelli che “non riesco davvero a immaginare che ci sia qualcuno che paga per andarci”. Io invece me lo immagino benissimo, tanto più che – come sappiamo – i clienti di prostitute e transessuali sono perlopiù maschi ‘normali’, con i quali andiamo a cena o a prendere il caffè, o magari dividiamo la casa o l’ufficio. Il dibattito è aperto, nel frattempo ecco una fotografia che mi piace: l’ha fatta Nan Goldin, una grande artista americana che spesso si dedica al sesso, ai suoi lavoratori e a immagini piuttosto crude. Ritrae una prostituta di Berlino (negli scatti successivi la si vede con un cliente) perfettamente vestita e sorridente.

Firmare appelli e dimenticare le persone?

foto capelli

Un’amica mi scrive: “Ho letto che Hasna è uscita dall’ospedale e ora è sola, racconta che nessuno l’ha aiutata”. Hasna è la ragazza marocchina di 19 anni sfregiata con l’acido muriatico il 28 agosto alla fermata dell’autobus da un giovane connazionale che aveva respinto. Ferita al volto e alle braccia, è stata a lungo ricoverata al Cto e ora cerca di ricostruire la sua vita: un nuovo lavoro, nuove amicizie, mentre la sua famiglia è lontana e non sa nulla di ciò che le è successo. La mia amica mi scrive una cosa vera: “Firmiamo appelli per la dignità delle donne, partecipiamo a manifestazioni, poi però non riusciamo a fare un gesto concreto verso una persona in carne e ossa”. Credo che abbia ragione e che dovremmo riflettere sui piccoli gesti singoli che facciamo tanta fatica a compiere, mentre ci viene così naturale indignarci sui Grandi Problemi. C’è una certa freddezza nel modo in cui anche noi – con “noi” intendo le donne, ma anche gli uomini che partecipano alla vita pubblica, manifestano, s’indignano quando è il caso, insomma non ritengono di doversi occupare soltanto delle proprie vicende personali – ci dimentichiamo delle vittime, dei singoli, di ciò che resta dopo un fatto tanto choccante. Quando ero piccola, mi hanno spiegato che i singoli gesti di aiuto “non risolvono i problemi”: la povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento. Ma è una lezione che ho cercato di disimparare e che forse dovremmo disimparare ancora. Se qualcuno di voi vuole aiutare Hasna, con una lettera, un gesto, una proposta di lavoro, un dono personale me lo faccia sapere: magari non risolverà il Grande Problema della violenza sulle donne, ma sono certa che farà bene a lei e a noi.

PS alla mia amica e a tutte le altre farà piacere sapere che Hasna ha un avvocato che la assiste gratuitamente fin dall'indomani dell'aggressione. Ma altri gesti saranno certamente importanti e graditi

Lei voleva le tartarughe

Turtle - OCADIA SINENSIS

Qualche amica si lamenta perché su questo blog parlo “troppo” di figli. Me ne rendo conto, ma è difficile – in questa stagione – parlare d’altro, onuste come siamo di sacchetti ricolmi di regalini (i nostri e i loro) e di interrogativi sul Vero Spirito del Natale. Quindi, abbiate pazienza ancora per qualche giorno, poi torneremo alla biancheria di pizzo.

Dunque è andata così: mia figlia per Natale ha chiesto tartarughe o pesci o criceti. Non è una mancanza di contatto col regno animale a spingerla, al contrario: in casa vivono già due esseri pelosi quanto mai difficili, ma molto amati da noi (un cocker paraonoico e centenario e un trovatello bisbetico e sociopatico). Il fatto è che a lei piace il Creato, familiarizza per strada con rotweiler ringhiosi e va a trovare i gatti degli amici. Dunque, insieme, abbiamo selezionato gli esseri viventi che avrebbero potuto collocarsi in qualche angolo del nostro appartamento senza entrare in conflitto con i cani, ed è emerso l’elenco di cui sopra. Scartati i criceti (troppo delicati e dalla vita troppo breve), accantonati i pesci (al mattino non me la sento di rimuovere cadaverini alieni con una reticella) son rimaste le tartarughe. Mi sembravano esserini piccoli e simpatici e già immaginavo una vasca ampia ma non troppo dove avrebbero potuto guazzare, rigorosamente in camera della loro giovane proprietaria. Macché. Mi sono informata. Sono andata a vedere. Le più piccole diventano di 30 centimetri. Ma c’è di peggio: il movimento noturtle (googlare per favore) spiega che tenerle in casa è una crudeltà atroce, e che se proprio accade occorre almeno una piscinetta riscaldata sul terrazzo. Un odoraccio indescrivibile si leva dalle loro vasche, e l’80 per cento degli esemplari muore nei primi mesi per l’incuria di noi umani. Ho telefonato subito a mia figlia. L’argomento “crudeltà” ha prevalso. Così, mi ha proposto un’alternativa: “Un Mac portatile, se possibile”. Temo che lo comprerò, e dopo non potrò lamentarmi neppure su questo blog se stiamo allevando una generazione di tecno-dipendenti asociali e viziati.

Mamme e cortei

scritta interinale

Il tam tam parte all’ora di cena: “Che facciamo domani?”, “Io lo mando, tu?” e riprende frenetico già verso le 7 del mattino. E’ il toto-manifestazione che impegna le madri (e qualche volta i padri) dei liceali torinesi. O, meglio, quella quota di madri che proprio non se la sente di rispondere un “no” senza appello alla richiesta dei figli di partecipare alle proteste anti-Gelmini. Non è facile distinguere tra un corteo e l’altro. Le più appassionate, o maniacali, consultano i siti della protesta e concedono o meno l’autorizzazione a seconda del numero e della qualità dei promotori. Qualcuna rispolvera le esperienze giovanili: “Fai attenzione, la prossima volta che qualcuno tira delle uova vi prendete un sacco di botte”. Chi ha meno di diciott’anni non ha bisogno soltanto di solidarietà, ma anche di una firma sul diario o sul libretto delle assenze: rischioso quindi decidere di manifestare senza avvisare a casa, una delle tante contraddizioni dei giovani che in queste ore sfilano nelle vie di Torino e che talora si abbandonano a intemperanze o, più spesso, assistono a quelle di esperti del disordine di piazza alquanto più grandi di loro. E’ importante ascoltarli, quando tornano a casa: “Oggi era un gran casino. Dei cretini hanno iniziato a tirare bottiglie e il corteo è finito lì”. E’ importante parlare con le altre madri: la regola, l’unica possibile oltre alle raccomandazioni delle quali è bene non stancarsi mai pur sapendo che saranno in parte inutili, è che non siamo soli al mondo, e ai cortei si va insieme agli amici e ai compagni di scuola. E’ importante insegnare ai figli a rispondere al telefono, sempre, e a poter fare almeno una chiamata a carico. Il resto è fatto di buonsenso e di errori, fino al prossimo corteo, fino a quando non ci sarà più bisogno della nostra firma sul diario vergata sotto un non pienamente sincero “ragioni familiari”. Ieri, per esempio, il nostro personale tam-tam ha deciso per il no, e i figli (riottosi) sono entrati a scuola. Soltanto un’intuizione, ma è andata bene così: altrimenti ci sarebbe rimasto un forte dubbio sull’efficacia delle nostre prediche in favore di manifestazioni civili, senza uova né bottiglie né tricolori strappati.

Ps di solito non metto su questo blog gli stessi pezzi dell’edizione cartacea. Ma in questo caso mi perdonerete l’eccezione…

La famiglia è ariosa e liberante come una camera a gas

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Poche tra noi possono ricordare questa vecchia scritta, in puro stile tardo-surrealista, sui muri di Torino. Moltissime, invece, canticchiano ancora sotto la doccia “questo amore è una camera a gas”, Gianni Nannini dixit, e che peccato ritrovarla ora col pancione (del quale potremmo anche rallegrarci) ma così priva di ironia da invocare perfino un ‘patentino’ per chi diventa madre o padre, proprio ora che anche lei ha scelto la strada del pancione.
Ma torniamo al punto. Leggiamo, e in molti casi scriviamo, ogni giorno di eventi familiari luttuosi, oscuri, torbidi, strazianti: figli che uccidono le mamme novantenni per “non vederle più soffrire”, mariti che accoltellano l’ex moglie, donne che si difendono accoltellando a loro volta l’ex marito violento. Ancora: mamma che si getta nel lago con figlioletto e cane; o che si butta nel vuoto con la figlioletta, o che la spinge, tout court, giù dal balcone.
Sono sicurissima che le vostre famiglie assomigliano di più a quelle del Mulino Bianco, anzi no, a quelle di Lessico Famigliare, dove un’ispirata Natalia Ginzburg racconta le piccole e grandi cose di famiglia, affettuosa e disincantata, complice e osservatrice. Stasera però riflettevo che se un inviato speciale entrasse nella mia, con i cani che abbaiano per ottenere un pezzo di pizza, mia figlia che protesta perché non le lascio il computer acceso per poter usare il suo ‘faccialibro’, in barba al limite orario che ho messo al suo, di pc, mio figlio che mi racconta con linguaggio triviale quel pezzetto di storia (nella fattispecie Cleopatra, Antonio e Ottaviano) che l’ho costretto a studiare offendendolo a morte, ebbene, quell’inviato speciale penserebbe che siamo molto vicini a finire sul giornale, magari anche al capitolo ‘cronaca nera’.
Per questo, forse, la sera mi ritiro lontana da eventi mondani e sono grata al cielo quando non devo invitare nessuno e allargarmi nel mio lessico famigliarissimo come meglio mi aggrada.
E voi? Quanto è ariosa la vostra famiglia?

Buon martedì